Una ragazza diciassettenne, Rosa, un padre e una madre sui cinquanta, i loro amici un gruppo di borghesi sfasati e radical-chic, il terzo incomodo: il fidanzato della ragazzina. Che però ha un “vizietto”, quello di essere un settantenne con tanto di criniera bianca e la faccia un po’ legnosa ed attonita di Enzo Jannacci. Infine il gruppetto di coetanei della ragazza, quelli che hanno la bellezza del somaro, cioè quella forza e primitiva naturalezza che è propria di chi è giovane. Su tutti, Marcello (Sergio Castellitto) e Marina (Laura Morante), genitori insicuri e poco autorevoli persino con la cameriera. Il padre si comporta come un amico della figlia, senza mai dialogare in profondo e sorvolando su tutto, preferendo il lavoro (è un architetto modaiolo) e la tecnica dello struzzo. La madre, psicologa, ostenta anche lei convinta modernità e atteggiamenti privi di pregiudizi e intanto bamboleggia con la figliola. Nel loro clan di adulti sono tutti dello stesso stampo: nessuno capisce niente della propria vita o riesce a darle un senso e spesso i ruoli si rovesciano fino ad arrivare a farsi rifornire di canne dai figli. A loro, già di per sé pittoreschi, si aggiungono la madre di Marina, buona borghese che ha il culto degli animali e guarda con svampita acrimonia agli umani, e due pazienti della psicologa: la giovane in cura va succhiando dal biberon alcolici vari, l’altro paziente maschio ha la fissa del Settimo Sigillo, che riguarda e rivive in ogni occasione. E tutti in un balzano girotondo con ritmi farseschi da cinema muto. Aggiungete un casale in Toscana, aperto a chiunque, fucina ininterrotta di cibi da sgranocchiare in ogni ora, ricettacolo di stravolti week-end per riprendere il lunedì la non-vita nei non-luoghi. Ma questa volta c’è una novità annunciata da Rosa: l’arrivo del nuovo strano fidanzato: ecco il settantenne, saggio, silenzioso testimone dei loro tic e delle loro nevrosi giovanilistiche. Perciò sarà lui a fare da detonatore delle contraddizioni di tutti fino a un lieto fine che strizza maliziosamente l’occhio al pubblico: è pur sempre Natale. Certamente la prima parte del film, opera terza di Castellitto, scritta da Margaret Mazzantini sua moglie, ha un inizio che promette bene. Ritmo giusto e veloce, battute fulminanti e divertenti, citazioni di linguaggio azzeccate, fotografia accurata anche se non originalissima. Ma tutto questo nel secondo tempo diventa teatrale in modo eccessivo, il ritmo della farsa si fa abusato, i dialoghi prolissi e urlati sono poco convincenti, le citazioni pretenziose e caricate. Quello poi che dovrebbe essere il deus ex machina, alias il fidanzato attempato, è la figura più scolorita in tanto colore degli altri, così da girare quasi a vuoto. In tal modo una commedia intelligente si trasforma in qualcosa di sovrabbondante e ripetitivo e non vale citare Nabokov o Checov per riscattarla.-
Ci tenevo a vedere il film "La bellezza del somaro", di Sergio Castellitto per fare un ultimo omaggio a uno dei miei cantanti preferiti, il grandissimo Enzo Jannacci e il film mi è piaciuto moltissimo. Come in un pirandelliano gioco delle parti si mettono in luce, in maniera a volte realistica, ma più spesso surrreale e caricaturale tutti i luoghi comuni sui vecchi, sui giovani, sulle varie professioni (dalla psicologa alla preside, a quello che è il lavoro più difficile: il genitore), sulle idee politiche, sull'ecologia, sulla droga e via discorrendo. Il fascino del film sta in questo continuo deja vu, in questo accavallarsi di situazioni paradossali, ma ben radicate nella nostra esperienza quotidiana. Certo il rischio di cadere nella farsaccia trash è sempre presente, ma Castellitto riesce a volare alto dominando una materia non sempre facile (gli perdoniamo qualche torta in faccia e qualche strillo di troppo...). Eccellenti le interpretazioni dei protagonisti, da Castellitto alla Morante alla ragazzina. Indimenticabile l'interpretazione di Enzo Jannacci che già nell'Udienza di Marco Ferreri aveva dimostrato di essere un grandissimo attore. (Non mi aveva convinto invece nel meno conosciuto "Figurine"). Sinceramente non ho capito il significato del titolo...
Tra i film peggiori della stagione. Forse è a livello di un cinepanettone. Battute scontate, trama forzata, sceneggiatura appena abbozzata; non è detto che essere un bravo attore significhi di per sè saper diventare un bravo regista (Clint a parte). L'idea di base forse era buona, però il suo sviluppo è francamente improbabile. A parte il gradevole, ma non originale, spot sulla campagna toscana, seguire questo film mi ha prodotto un certo imbarazzo e spesso noia. Se questo è il livello degli italici radicalshic postsessantottini non c'è molto da stare allegri.
Buon film per la fotografia e per la regia. Ancora una volta', pero, la storia di persone-personaggi nella e della realtà quotidiana. le loro problematiche sono lontane e quasi impossibili rispetto a tante persone, anche professioniste, della e nella realtà quotidiana, o di metropoli e di vita alto-borghese o di provincia e di condizioni sociali ed economiche tranquille e modeste. Pertanto, si assiste alla visione di un mondo artificioso, con problematiche "da film" e da "falso cerebralismo". E la simbologia dell'innamoramento dell'adolescente per il settantenne nonno è...banale.