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Capitalism: A Love Story

Opinioni presenti: 9
Media Voto: Media Voto: 8.5 (8.5/10)

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Il capitalismo è il cancro del mondo

(8/10) Voto 8di 10

Quanto adoro i film di Moore; quest'ultimo rivive i scalpitanti momenti della crisi finanziaria con l'obbiettivo di far capire allo spettatore (americano sopratutto) che il capitalismo si sta per estinguere...il giocattolo si è rotto ormai. Cmq in che mondo viviamo....banche,assicurazioni, multinazionali trattano l'uomo come un maiale



Piero, 24 anni, Bologna (BO).




Il capitalismo è il cancro del mondo

(8/10) Voto 8di 10

Quanto mi piaciono i film di Moore, il beppe grillo americano, che controcorrente affronta i poteri costituiti; Questa opera tratta del tema più caldo che coinvolge tutti noi e sostengo personalmente la tesi sull'eliminazione del capitalismo! Voto 1 alla mia città Bologna che a deligittimato il film mostrandolo solo in una sala piccolina e nascosta del centro; voto 8 per Moore grande!



Piero, 24 anni, Bologna (BO).




Questa terra è la nostra terra?

(10/10) Voto 10di 10

Moore resta sempre un regista unico, ovvero inventore di una cifra stilistica originale e personale. Direi che in questo film è, secondo me, migliorato nelle stile e ha affinato la propria arte. Arte del collage, del tutto e subito, mischiando alto, basso, vecchio, nuovo, cinema , televisione, umorismo, tragedia. Qualche volta sembra un predicatore nel deserto. Peraltro la comparsa di qualche tematica religiosa mi è parsa allarmante, quasi volesse indicarsi una strada verso un film pessimistico Pasoliniano. Ora c'era il Gesù di Zeffirelli ma poi ci sara il Gesù di Pasolini? Se poi avete notato il film chiude con una canzone su tematiche religiose di Woody Guthrie... è una cosa che ho apprezzato personalmente come scelta musicale, grande canzone certo ma l'amaro in bocca resta.



Amundsen, 37 anni, Polo Sud (GE).




Moore my love

(7/10) Voto 7di 10

I suoi documentari puntigliosi, sarcastici, costellati di interviste, hanno reinventato il genere, trasformandolo in giornalismo di inchiesta militante, toccante e demagogico (anche) ma indubbiamente coraggioso. Se il marchio personale non tralascia una costante ironia che fa pensare su altri versanti a Woody Allen, la sostanza amara del suo impegno non viene meno neanche in questa sua ultima opera. Si avverte però in qualche modo che la vis polemica è diminuita insieme alla capacità di sconvolgere o commuovere (vedi Bowling a Colombine o Sicko) ed è lo stesso Moore a dichiarare la sua stanchezza di “combattente” verso la fine del film. Detto questo, non si può negare che la domanda “Perché pagano sempre i più poveri?”, alla base di tutta la sua riflessione cinematografica, riceva ancora una volta spiegazioni condotte con un vivace ritmo di montaggio, variamente argomentate, e con un commento musicale sui generis. Se il vero colpevole è il capitalismo, ripartendo addirittura dalla crisi dell’impero romano, il regista allarga il discorso dalla sua città Flint a tutto il mondo. Nelle interviste, condotte con insistenza e aggressività mentre col suo camioncino blindato si sposta per tutti i santuari della finanza, sfilano i volti degli “agnelli” e dei “lupi”. I primi sono quelli che hanno perso il posto di lavoro, quelli che svelano come le banche incassino polizze assicurative sulla vita degli impiegati, quelli che debbono sgombrare in tutta fretta dalla propria casa pignorata per il disastro mutui. I secondi sono gli operatori finanziari di Wall Streat, il presidente Bush e i suoi consiglieri, gli industriali che causa crisi non pagano ferie e liquidazioni ai lavoratori, gli agenti immobiliari che speculano arricchendosi sulle disgrazie altrui. Su tutto ciò aleggia il capitale e il profitto, spacciati come sinonimi di democrazia e vicini alla parola di Cristo (qui Moore mette in bocca al Cristo di Zeffirelli i propri pensieri). Diversa la ricetta del regista: “Il capitalismo è un male, non lo si può regolare, bisogna eliminarlo e sostituirlo con qualcosa d’altro: la democrazia”. A questo proposito ecco le immagini di un discorso quasi inedito di Roosvelt che, già molto malato, propone e promette in tv agli americani di riscrivere la Carta dei Diritti per permettere a tutti di completare la strada delle conquiste sociali. Non lo farà mai perchè morirà un anno dopo. Oggi questa aspirazione è stata ripresa sull’onda delle speranze e della rinnovata partecipazione del popolo Usa al programma politico di Obama. Sulla spinta di tale cambiamento si chiude il film, mentre si vede il regista che, giunto di fronte al palazzo di Wall Street, lo circonda con un nastro giallo, come quelli usati dalla polizia, per circoscrivere “la scena del crimine”. C’è da augurarsi che al pingue contestatore dal sorriso arguto e volpino, si affianchi gente di buona volontà e arrabbiata il giusto.



Olga di comite, 65 anni, Perugia.





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