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Gran Torino

Opinioni presenti: 135
Media Voto: Media Voto: 9 (9/10)

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Certezza nell'oblio amanuense

(7/10) Voto 7di 10

La certezza di un Harry che sa quello che chiede la natura. La consapevolezza del regista ha permesso lo studio della pellicola dal punto di vista bifocale e diometrico. Non potendo conoscere le elargizioni culturali degli antenati aztechi, la natura della visione ha un chè di protuberante e aristotelico. La voce dell'anima ha delle graduazioni significative per il regista. Si parte dal fucile per arrivare al giallo...e poi dal giallo per arrivare al fucile. La vita è perpetua se si considera la polvere da sparo e la sapienza della conoscenza estesa. Gridando al lupo non posso avere quelle simpatiche visioni di un mondo remoto e dimenticato. Vivo di certezze contestuali e di conseguenza non sono d'accordo con Giulio Cesare che trovo fuori luogo. I gladiatori mangiavano frattaglie di porco in agrodolce e spero presto di poter emancipare la gelosia del porco nel suddetto contesto. La gradualità del corpo di Steven Seagal ha permesso ha Chuck norris di avere un faccia a faccia con Harry Potter. Dubito che sparare con la pistola abbia regredito l'accezione simbolica dell'anima di un Balrog. Asuka Kazama ha reso la pellicola ancora più volenterosa grazie all'apporto di molto tecniche di gran stile. Clint Eastwood è un clint che può essere un client ovvero cliente di Eastwood, cioè cliente delle foreste occidentali. Quindi un Robin Hood poteva anche essere inserito. La Foresta è graziosa se si considera che è sempre verde. Non penso che il corpo di eastwood sia sempre verde....ma il corpo dell'anima della cacenza è verde come l'erba del vicino. La veridicità della pellicola dà un sapore di velocità acuta e permette di irrorare la sapienza dello spirito dentro la cognizione del tempo. Il tempo. Il tempo ha un suo trascorso, un suo presente e un suo divenire dell'obliquità di un Eastwood pronto all'azione. In conclusione la sapienza del deretano può permettere una visione particolareggiata di un clint che non è più Eastwood ma un vero e proprio clint Eastwood clint. Sappiamo che Torino è in Italian e che Gran non può essere Torino. La vernice dell'anima intrinsichisce la passione del vestito e di un fucile arrugginito che può adoperare una carriera fatta e strafatta. Vivo di passione se il corpo vive di anima. Anima e passione sono i colori del cielo di cui è intriso il film stesso. La pellicola lapalissiana permea un vissuto trascorso nell'oblio amanuense del sociale. La socialità vissuta di un Eastwodd schwarzizzato dalla società ha reso grande una pellicola che in realtà non è pellicola ma un digitale che ha il profumo dei cavi elettrici di un alimentatore per pc. Vivere dell'egoismo dei giusti permette di ottenebrare le iniquità dei veri nel tempio astruso degli arguti. Vivere del pandemonio non permette ad un clint di essere clint. Quindi consiglio la vissione a colore che hanno compiuto solo 18,9 anni e che sanno cosa significa combattere la 1* guerra mondiale in aprile. Non vedo Hitler in questo momento. bello il film......



Pancrazio, 88 anni, Afragola (NA).




la maschera del tempo

(8/10) Voto 8di 10

Gran torino di clint eastwood con clint eastwood, christopher carley, bee vang, ahney her, brian haley il grande vecchio del cinema usa colpisce ancora: se stesso con l’autoironia e la semplice saggezza che la vecchiaia dispensa come un dono e noi spettatori incarogniti dalla violenza di cui trasudano le nostre società. come nel quotidiano, molti momenti di sorriso si mescolano al dramma e al patetico, per fortuna solo sfiorato, nelle ultime sequenze. ma certo l’immagine che più rimane fotografata in memoria è quella di kowalski-eastwood, seduto come un cane ringhioso nella sua veranda con accanto il suo docile cane, al suo fianco molte lattine di birra già scolate e più in là “lei”, la protagonista simbolica del film, cioè una ford gran torino del ’72, lucidatissima e quasi nuova. aggrappato a questa minuscola isola (casa e praticello dinanzi) il meccanico pensionato, ex-combattente in corea, passa le sue giornate brontolando e a volte ringhiando a bassa voce contro tutto: chiesa, famiglia, immigrazione, giovani e anziani. unico amico, si fa per dire, col quale scambia qualche battuta da macho solitario o alcune spiritosaggini rituali, il barbiere di quella periferia di detroit dove abita (questa città, meglio di ogni altra, richiama alla mente la crisi odierna del colosso americano che si è scoperto piedi d’argilla, a cominciare dalla località una volta tempio dell’automobile). niente piace al nostro delle cose e delle persone che lo circondano, per cui anche quando è fuori vive come barricato in casa detestando quei gialli che hanno riempito il quartiere ormai abbandonato dai bianchi; quella gente è diversa, quelle gang di giovinastri asiatici e latini che infestano la sua zona sono detestevoli quanto i suoi figli grassi e americani. né si salvano i nipoti, che il vecchio vede come ipocriti e passivi consumisti, pronti a gioire della sua eredità. non parliamo poi del giovane prete irlandese che lo perseguita con le sue visite per riportarlo a santa madre chiesa, da quando la moglie è morta. quindi secondo le vecchie formule diremmo: ecco un reazionario, certo un repubblicano, certo razzista, al cento per cento egoista fino alla fine. e invece no, perché il film ci fa assistere alla crescita del giovane protagonista tao (bee vang), che walt prende sotto la sua protezione, ma anche a quella del vecchio, perchè la reciproca conoscenza li cambia entrambi, con buona pace di chi crede che per alcuni non c’è speranza di cambiamento. in quanto al linguaggio e all’interpretazione, due considerazioni. la sintassi del film è senz’altro classica. in quanto all’interpretazione di clint, essa non c’è, perché ormai qualsiasi personaggio è lui stesso, è la sua faccia vecchia, scavata dalle rughe profonde, quasi di pietra.



Olga, 63 anni, Di comite (PG).




Gran Torino

(9/10) Voto 9di 10

occorre riflettere quanto sia difficile trovare un buon attore che, con il tempo, si migliora per divenire un eccellente regista e dove tutti i suoio films sono veramente da non pedere, ti lasciano qualcosa dentro; se dalla visione di un film devi provare forte senso interiore, qualsiasi esso sia, allora Clint e veramente uno degli "ultimi grandi" (Mystic River per tutti) Anacota '52



anacota, 60 anni, Savona (SV).




Un capolavoro assoluto

(10/10) Voto 10di 10

Non ho mai amato il cinema americano, ma “Gran Torino” è uno di quei capolavori assoluti che non hanno nazionalità. E’ la storia di un “americano al 100 %” con tutti i miti che si porta dietro: dalla superiorità della razza bianca all’autodifesa, dal bere alla macchina (ha lavorato cinquant’anni alla Ford e vive per la sua Gran Torino del 1972 che tiene in garage, mentre gira con un furgone scassato). L’unica novità rispetto ad un personaggio che il cinema ci ha presentato mille volte: non è wasp, bensì un polacco di seconda o terza generazione e (pur nel suo inattaccabile agnosticismo) appartiene alla chiesa cattolica. In un’America che cambia rapidamente (ed il nostro è infastidito allo stesso modo dalle “invasioni” di asiatici o dall’abbigliamento succinto della nipote) il protagonista cerca di rimanere se stesso, anche se proprio gli odiati “musi gialli”, che lui detesta dai tempi della guerra di Corea e delle cui ragioni non vorrebbe neppure prendere atto, lo porteranno ad un cambiamento radicale: andrà a morire disarmato, consapevole che il suo gesto contribuirà al trionfo di quella giustizia in cui non ha mai creduto, a meno che non nascesse dalla canna del suo fucile o della sua pistola. Questo è il messaggio profondo di un’opera che si guarda tutta d’un fiato, con il rispetto dovuto a chi mette in discussione i valori di una vita intera. In certi momenti il film sembra ispirarsi a “Il cow boy”, l’ultimo film di John Wayne, ma poi sceglie una strada completamente diversa. Clint Eastwood (ma dopo questo film qualcuno oserà ancora chiamarlo reazionario?)offre un’interpretazione superba, esaltata da un doppiaggio rauco e fastidioso che crea un tutt’uno tra immagine e suono. A proposito di doppiaggio mi ha un po’ infastidito, ogni volta che si parla di problemi religiosi, l’uso della parola “salvazione”. Ma non si dice salvezza in italiano?



Silvano, 60 anni, Cormano (MI).




Giù il cappello

(10/10) Voto 10di 10

Il grande Sergio Leone sosteneva ironicamente che Clint Eastwood, come attore, poteva contare solo su due espressioni. Una con il cappello e l’altra senza. Ne è passata di acqua sotto i ponti dai tempi in cui l’Uomo senza nome sembrava dovesse rimanere ancorato a vita all’epopea degli spaghetti-western e al suo regista-mentore. Ecco invece che, quasi inaspettatamente, Eastwood ha saputo costruirsi un itinerario artistico (come regista e attore) in crescendo rossiniano. Una serie di prove d’autore che gli hanno permesso di deliziare le platee di tutto il mondo grazie a capolavori di una bellezza impagabile nella loro linearità. Film nei quali l’asciutto racconto delle storie fa il paio con un uso magistrale della macchina da presa. Tutto questo ha reso il suo modo di fare cinema qualcosa di davvero incommensurabile. Gran Torino è solo l’ultima chicca che il grande Clint va ad aggiungere alle tante che ha saputo offrirci negli ultimi anni. E pensare che era stato presentato come un film quasi in tono minore, dopo il drammatico Changeling. Niente di tutto questo. Siamo in presenza di una delle migliori prove d’artista dell’ultimo anno, che pure è stato ricco di pellicole e di titoli spesso emozionanti. Su Gran Torino si è detto ormai tutto quello che c’era da dire e, se qualcuno ha dei dubbi sul fatto che siamo di fronte all'ennesimo capolavoro, non sapremmo proprio come convincerlo. Il fatto è che quando si esce da una sala arricchiti dentro, ciò significa che il regista (in questo caso anche splendido protagonista) ha fatto ancora una volta centro. E allora giù il cappello davanti a questo vecchio cowboy che ha saputo inventarsi un cinema capace di arrivare dritto al cuore.



Sergio, 59 anni, Firenze.





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