Attori discreti nell 'interpretazione segnata negativamente dal film in se per se mediocre e grossolano. Ripetitivo nelle scene e banale la sequenza cronologica legata al futuro dei superstiti. Un film per tutti, per tutti quelli che amano addormentarsi davanti alla tv! Film Voto 4.5 Attori 7 Regia 3.5
All’interno di un pezzo di critica cinematografica, di una recensione di un film, bisognerebbe evitare di utilizzare la parola “bellissimo”. Il problema, se così si può definire, è che il film “…e dopo cadde la neve”, della regista romana Donatella Baglivo, è davvero bellissimo. Sono 90 minuti fitti di simbologie forti, mai casuali, che rimandano continuamente a messaggi mediati da colore, suono, immagine, percezioni semantiche, fotografia. La sala del cinema Moderno di Pizzo è piena nonostante il tempo inclemente che insegue la serata. La Prima calabrese di questo film con un canovaccio intriso di carica emozionale classica del periodo in cui è ambientato. Sono appena passati gli anni settanta, si varca il ventennio che accoglierà il 2000, momento soglia carico di speranze, voglia di progetto e cambiamento. Siamo a Sud, nell’Irpinia dove tutto è danza, suono, ballo, musica e gioco, tradizioni profonde e percorsi ritualizzati da secoli ma anche apparizioni e miracoli inattesi come si racconta nel film per la Madonna del Castello di Oliveto Citra o per la presenza di SS. Giovanni Paolo II che guarisce con la sua presenza un giovane infermo. La Baglivo parte con il suo film in modo quasi lento, utilizza una metrica filmica volutamente appesantita da ritmi cronologici scanditi e sottolineati da scritte in sovrimpressione. Mostra spaccati di esperienze riprese dalla vita di tutti i giorni. In queste “finestre” si intravedono sogni, speranze, l’erotismo velato di coppie che si stanno formando, il ludico gioioso di bambini. Tutto scorre nell’eterno quotidiano lento vivere del Sud’Italia. La regista sottolinea strati antropologici e sociali di un meridione in eterna contraddizione per un’attesa di cambiamento che tarda a realizzarsi. Il film si carica di segni che preannunciano qualcosa di forte, l’arancia di “Poeta” che è tonda e rossa come la luna, strana e piena, l’abbaiare nervoso di cani, la ritmica del film si fa incalzante. Poi il “fatto”, l’attimo eterno dove tutto cambia, sovverte, elimina e forse, qualche volta, perdona. È l’azzeramento di cose e di case, di storie e di uomini, d’amori e di sogni con cui il mezzogiorno d’Italia è da sempre abituato a convivere. La regista ci confida che girare quelle brevi eterne scene è stato il momento più faticoso e impegnativo, 90 secondi che mettono a nudo le miserie più vere di questo mondo. Le scene del cataclisma sono veramente forti e realistiche, quasi eterne. Donatella Baglivo ha preferito realizzare queste scene senza l’utilizzo di finzioni di studio, computer grafica e polistirolo. Ha preferito muri veri, pesanti travi, tavole e polvere, ferro e calcinacci. Il risultato è visibile nel film. Questa scena ricorda, per affinità, l’inizio del film “Pompei 79 d.C.” dove il Vesuvio distrugge tutto in un attimo. Da queste scene del terremoto in poi il film della Baglivo cambia in un sapiente gioco di “ricostruzioni” e di “testimonianze” dove le vite recuperabili, quelle non completamente distrutte