Film di pochissime ma limpide parole, in cui le potenzialità offerte dal mezzo cinematografico sono messe al servizio, finalmente, delle immagini visive e acustiche, più che della intellegibilità lucida e cosciente di una storia.
Una storia, del resto, non è di certo assente, piuttosto vien realizzata per immagini che non per fatti e azioni, in un processo incessante di trasformazione della narrazione, dalla iniziale secchezza, realismo e definizione verso una indefinita e stupenda vaghezza.
La trasformazione delle immagini segue quella interiore della protagonista, una giovane donna inizialmente spenta che giunge alla riscoperta dei propri affetti attraverso la crisi, per un risveglio affettivo angosciosamente vissuto, un amore, di cui più che il piacere è sostanza la realizzazione di identità della donna nel rapporto con l'uomo misterioso, affascinante, diverso da se e di se sicuro.
La regista e sceneggiatrice Francesca Pirani, qui al suo primo lungometraggio per il cinema, ci regala la speranza di un linguaggio coraggioso (complici la fotografia di Fabio Zamarion e le musiche di Tony Carnevale) e della possibilità, oggi, per il cinema italiano, di una originalità senza compromessi, che chiede allo spettatore, alle sue risonanze interne più che alla sua coscienza, finalmente, di essere parte in causa, di mettersi in gioco, senza farsi oggetto passivo dell'opera.