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El abrazo partido

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Poteva essere migliore

(6/10) Voto 6di 10

Il film è gradevole da molti punti di vista ma invita anche a riflettere, peccato che solo alla fine, negli ultimi quindici minuti direi. Un ragazzo spaesato e senza una precisa identità e punti di riferimento, tranne una madre tutta intenta a rifarsi la sua vita ed un fratello attratto dal demone degli affari ed un amico che come lui vuole diventare europeo, sullo sfondo di una crisi argentina appena sfiorata, fanno da cornice alla sua vita ed al film. Tralasciando tutti gli altri, che sono dei semplici corollari, l’unico rapporto vero ce l’ha con la nonna e con i ricordi familiari da lei evocati. Fino alla fine, dicevo, quando nel vuoto della vita banale del ragazzo si scopre un padre affettuoso che gli vuole bene e lo vuole riconquistare, ben conscio del male che la sua assenza gli ha fatto. Gli sguardi durante la corsa delle carrette ed il braccio, l’unico che gli è rimasto, che lo cinge da dietro come un vero amico e dopo il lungo inseguimento del figlio, che prima sarebbe voluto scappare da lui, sono i momenti migliori del film. Cosa si sarebbero detti dopo? Cosa avrebbero fatto insieme? Come il papà avrebbe aiutato il ragazzo, lo possiamo solo immaginare, ma il regista ha minimizato un pò troppo. Perchè non si è soffermato sulla relazione mancata e ritrovata, invece di insistere tanto nella descrizione quasi da entomologo della galleria, con dialoghi improbabili e spesso incomprensibili, ed una ripresa saltellante di uno sfondo “etnico” che ricorda tanti altri film? Un ultima nota positiva, la comunità ebraica era stavolta vista in chiave ironica ed allegra, insomma un film con ben altre ambizioni, rimaste un pò troppo latenti.



Giuseppe, 56 anni, Milano (MI).




l'abbraccio ritrovato

(7/10) Voto 7di 10

Si gioca sul filo sottile tra commedia e dramma, che non vuol essere tale, questa crisi di un quasi trentenne argentino di provenienza polacca e origine ebraica, che non si sente di nessuna parte ed aspira a una sua identità, più discreto nei toni ma nella falsa riga de "L'ultimo bacio" di Muccino e delle altre ricerche identitarie legate all'opera di giovani registi italiani. La specificità del film sta anche in altri due aspetti: 1. l'accento posto sulla mancanza fisica e psicologica dell'autorità e dell'effetto paterno (l'abbraccio perduto è infatti quello del padre), 2. l'aver ambientato il tutto in un luogo particolare, una piccola galleria commerciale animata da personaggi secondari molto ben ritagliati. La maggior parte di loro ruota comunque attorno ad Ariel, il protagonista; la madre gestisce lì un mini-negozio di intimo femminile, il fratello compra e "tenta"di vendere gli oggetti più strani, l'amico più caro trascina nel negozietto le sue amanti straniere, lo spazio-computer della galleria è gestito da una biondina che si dà ad Ariel ma non può fornirgli la sicurezza affettiva di cui ha bisogno. Ariel si muove in questo gruppo con trasognata leggerezza, indagando continuamente per ricostruire la figura di questo amato-odiato genitore e inseguendo il sogno di trasferirsi in Polonia, dove pensa di poter colmare la sua fondamentale incertezza esistenziale. Ma un abbraccio perduto può essere in qualche modo ritrovato e così accadrà a lui nel momento in cui la storia svolta con un coup de theatre, che è meglio non rivelare. Nei panni di Ariel si è calato Daniel Hendler con una interpretazione credibilissima che gli ha valso il premio per la migliore interpretazione maschile al festival di Berlino. Indovinatissimi gli altri attori e soprattutto la madre, un po' simile alle mamme ebraiche immortalate da Woody Allen. Il regista Daniel Burman, appartenente a una specie di nouvelle vague argentina, è anche lui Orso d'Argento a Berlino 2004 ed è anche autore del soggetto; come tecnica sceglie riprese saltellanti con la camera a mano, tallonando da vicino i personaggi e si affida a dialoghi duettati tra gli attori con battute minimaliste ma efficaci, piacevoli anche quando sfiorano la commozione. Un film semplice ma accattivante, eseguito con un linguaggio da cinema volutamente "adolescente", quasi a sottolineare l'immaturità psicologica di Ariel. Di non riuscito solo alcuni brani in cui il ritmo rallenta e la sceneggiatura si fa più debole. Nel complesso una gradita sorpresa e forse un congedo... visto che siamo alle soglie dell'estate e la stagione cinematografica batterà per qualche mese la fiacca.



Olga, 50 anni, Perugia (PG).




Un pò macchinoso

(5/10) Voto 5di 10

Non male ma neanche scorrevole, insomma pur non essendo certo un mattone ho trovato la visione poco leggera, un pò macchinosa, faticosa.



Marco, 33 anni, Torino.




La ricerca del significato

(8/10) Voto 8di 10

L'abbraccio perduto parla di un lutto che diventa ricerca, voglia di sapere e capire, questa ricerca di sinificato viene svolto in uno scenario multietnico, dove si cerca un senso per stare insieme. il film è notevole risulta molto divertente, il film si basa su dialoghi imprevedibili ed a volte non compresibili, merita di essere visto e di essere commentato.



Stefano, 30 anni, Cagliari (CA).




incolore

(5/10) Voto 5di 10

il film è troppo lento e sfiora solo le problematiche che si propone di affrontare. Non vi è infatti alcuna introspezione o analisi della psicologia del protagonista...il tutto è solo accennato. Una storia alquanto incolore



Pasquale, 29 anni, Imola (BO).





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