Ombre oscure
La sezione "Controcorrente" della 59^ Mostra del Cinema di Venezia si chiude con questa pellicola indiana del regista Gopalakrishnan, già presente a Venezia nel 1988 e nel '90 con ben due lungometraggi in concorso: "Mathilukal" (Muri) e "Anantara" (Monologo).
Questa volta siamo nell'India di Ghandi, anche se lontani anni luce dalla sua pacifica rivoluzione. Kaliyappan (Oduvil Unnikrishnan) è il boia della provincia al servizio del marajà: il suo ingrato compito, che gli vale comunque una casa e delle terre, è controbilanciato dalla credenza che abbia poteri taumaturgici garantitigli direttamente dalla dea Khali. Kaliyappan, infatti, dopo aver impiccato il condannato conserva in casa la corda che viene utilizzata nei rituali di guarigione. Purtroppo un giorno viene a sapere di aver ucciso un innocente e, nonostante tutti lo rassicurino sul fatto che lui è solo un mero esecutore, il senso di colpa sembra divorarlo irreversibilmente. Alla vigilia di una nuova esecuzione, Kaliyappan sente di non potercela fare e porta con se anche il figlio, attivista del Fronte di Liberazione, contrario alla pena di morte. In bilico tra dovere ed ideali il giovane erede dovrà decidere se farsi carico del fardello del padre o meno.

La pellicola non è la solita denuncia militante contro la pena di morte, ma, come da costume indiano, ci accompagna delicatatamente in un percorso di riflessione. La morte in India è vissuta come un normale processo di rinnovamento, significativa in tal senso la lezione del maestro ai ragazzi, e gli stessi simboli racchiudono in se stessi una forta bivalenza: come Khalì può vestire i panni della morte allo stesso tempo porta la guarigione, così la corda del boia che ha tolto una vita, ne può salvare decine di altre. Il vero messaggio risiede semplicemente nel diritto di cui ci si arroga di togliere la vita a qualcuno e su chi ricadano le colpe: sull'esecutore o sul mandante? Non avremo una risposta a questo interrogativo dal regista dovremo trovarla da soli.

Artisticamente l'India si presta a questi racconti colmi di spiritualità: i colori e la natura incontaminata contribuiscono a creare uno stato di pace interiore che ci permette di assorbire meglio il film. Forse il regista ha indugiato un pò troppo sul racconto della ragazza, facendoci così; perdere di vista l'obiettivo primario, ma alla fine si esce sentendo che i personaggi ti sono rimasti in qualache modo "dentro".

Indicazioni:
per chi vuole esplorare qualcosa di nuovo.

Das

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