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Montparnasse femminile singolareLa recensione del film a cura della Redazione di FilmUP.com di Leonardo Mezzelani24 maggio 2018Voto: 7.0
“Montparnasse - Femminile Singolare”: ovvero verso l’umana ricerca di se stessi.
Paula è rientrata a Parigi dopo una lunga permanenza in Messico, è stata appena lasciata da un fidanzato fotografo che non vuole saperne più nulla di lei e di cui era la musa. Si ritrova così, a 31 anni, sperduta dentro una metropoli che acquisisce sempre più le sembianze di una giungla. Dopo un breve, e comprensibile, momento di crisi la nostra protagonista decide di rimboccarsi le maniche. Inizia così un viaggio alla ricerca di se stessi, verso una stabilità che, ad un certo punto del film, lei stessa definirà “noiosa”. Il problema principale è uno: Paula non sa fare nulla. Non è particolarmente intelligente, per sua stessa ammissione, non ha finito le scuole, e non ha il becco di un quattrino. Addirittura le persone che l’hanno conosciuta non si ricordano di lei perché “il suo viso non dice nulla”. Questa situazione che per la maggior parte delle persone sarebbero la pietra tombale di una qualsiasi iniziativa, per lei è stimolo per iniziare un percorso fatto di volti nuovi, esperienze e delusioni. Sempre avanti, senza paura. “Montparnasse - Femminile Singolare”, opera prima valsa alla regista Léonor Sérraille la “Caméra d’or” alla 70ª edizione del festival di Cannes, è l’elegante racconto di una ricerca. Paula mente, sempre e comunque, che sia per fare conoscenza con una ragazza che l’ha scambiata per una vecchia compagna di classe o per ottenere un lavoro poco importa. Con in braccio il gatto (che riporta subito alla mente “A proposito di Davis” dei fratelli Coen) del suo ex fidanzato la nostra protagonista vagabondeggia tra becere camere di hotel, case di - estemporanei - amici e di “datori di lavoro”. Tutto in lei è fuori dagli schemi, persino i suoi occhi sono uno di colore diverso dall’altro. Ovunque vada è circondata da donne che le somigliano, praticamente dei sosia, ma più belle, in carriera, con una famiglia; tutto quello che sua madre e sua sorella vorrebbero lei fosse (e che le rimproverano di non essere). Ogni tentativo di Paula di inserirsi in un contesto sociale, come le ricorrenti feste in case e locali, risulta non solo vano, ma dannoso per lei e per gli altri. Non a caso l’unico vero rapporto duraturo nasce da un litigio che abbatte subito il problema del dover fingersi “giusti”. Eppure ogni sbaglio, ogni bugia scoperta, ogni rapporto interrotto bruscamente diventa un mattoncino per la costruzione di un nuovo io. Guidata dall’elegante regia di Léonor Sérraile, l’attrice Laetitia Dosch (la nostra protagonista) dà vita ad un personaggio vero. Così vero che nel corso del film ci ritroveremo a passare dall’odiarla al volerle bene, non sopportarla di nuovo per poi volerla abbracciare come si fa con una vecchia e “casinara” amica. Perché Paula siamo tutti noi, è la parte che ci vergogniamo a mostrare in pubblico, forse quella più vera. Il finale di “Montparnasse - Femminile Singolare” è di quelli che tutti vorremmo, quelli che chiudono il cerchio di una storia che, di questi tempi, abbiamo maledettamente bisogno di farci raccontare. Aldilà di ogni categoria, fuori da ogni schieramento ed etichetta, è la vittoria del singolare. Perché, come scriveva più di un secolo fa Nietzsche nel suo Zarathustra, “solo da un grande caos può nascere una stella danzante”. E forse, l’anno scorso, in quel di Cannes, abbiamo proprio visto nascere una stella, almeno ce lo auguriamo. La frase dal film:
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