Mission: Impossible - Rogue Nation
Ingiustamente accusato della morte di tutti i componenti della sua squadra in “Mission: impossible” (1996) di Brian De Palma, ispirato all’omonima serie televisiva, abbiamo poi avuto modo di vederlo alle prese con un pericoloso virus in “Mission: impossible II” (2000) di John Woo, con uno spietato trafficante d’armi in “Mission: impossible III” (2006) di J.J. Abrams e con un complotto finalizzato a scatenare un conflitto nucleare in “Mission: impossible – Protocollo fantasma” (2011) di Brad Bird.
Per la quinta volta con le fattezze di Tom Cruise, anche produttore dell’intero franchise, l’agente segreto Ethan Hunt fa la sua nuova entrata in scena attraverso un’impresa a bordo di un aereo che rimanda, in un certo senso, ad una situazione analoga vista nel bondiano “Octopussy – Operazione piovra” (1983).
Del resto, a richiamare alla memoria l’universo del mitico 007 provvede anche la sequenza di scontro all’Opera di Vienna nel corso delle oltre due ore di visione, il cui protagonista e il suo team, stavolta, sono impegnati ad eliminare il Sindacato, organizzazione criminale di agenti speciali altamente qualificati e incaricati sia di distruggere la IMF che di creare un nuovo ordine mondiale attraverso una serie di attacchi terroristici.
E, se della già collaudata squadra tornano a far parte il Ving Rhames di “Pulp fiction” (1994), il Jeremy Renner di “The Bourne legacy” (2012) e il Simon Pegg de “L’alba dei morti dementi” (2004) rispettivamente nei panni di Luther Stickell, William Brandt e Benji Dunn, è la Rebecca Ferguson di “Hercules: Il guerriero” (2014) nel ruolo dell’ex agente britannico Ilsa Faust ad aggiungersi al cast, insieme al candidato al premio Oscar Alec Baldwin, qui dirigente della CIA Alan Hunley.
Cast che, tra immancabile coinvolgimento di maschere, scontri corpo a corpo e pallottole sempre pronte per essere sparate, finisce ovviamente per essere immerso nell’indispensabile campionario di esagerati momenti d’azione, scanditi, come di consueto, da un montaggio piuttosto veloce.
Non quanto il lungometraggio stesso, purtroppo, in quanto, se già durante la sua prima parte lascia avvertire una certa mancanza di verve, conferma nella seconda una fiacchezza generale dovuta anche all’eccessiva verbosità e alla tendenza a tirare un po’ troppo per le lunghe lo spettacolo.
Difetto destinato a spingere a pensare che, forse, alla quinta avventura le idee originali comincino a latitare, ma che individua con ogni probabilità il suo principale motivo di esistere nel nome di colui che si trova dietro la macchina da presa: il Christopher McQuarrie già al servizio dell’esaltatissimo Tom nel decisamente poco memorabile “Jack Reacher – La prova decisiva” (2012).
Perché, sorvolando sul riuscito inseguimento automobilistico proto-“Fast & furious” (2001) in terra marocchina, se scene action come quella subacquea risultano eccessivamente brevi e la tensione appare quasi del tutto assente lo si deve, senza dubbio, al già dimostrato gusto registico maggiormente propenso allo sviluppo dei dialoghi che a quello dell’intrattenimento che ci si aspetta da questa tipologia di pellicole.
La frase:
"Buona fortuna, questo messaggio si autodistruggerà entro cinque secondi".
a cura di Francesco Lomuscio
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