Mio cognato
Le aspettative erano molte. Dopo l'exploit de "La Capa Gira", da Alessandro Piva ci si attendeva un film d'altrettanta genialità. Purtroppo come tutte le opere seconde, e soprattutto quelle più attese, la delusione è spesso dietro l'angolo.
Nonostante il cast di rilievo, imposto dalla produzione (RaiCinema), composto tra gli altri da Luigi Lo Cascio e Sergio Rubini, il film non riesce a reggersi in piedi per tutta la sua durata che per altro non supera i 90 minuti.
La sceneggiatura di Giovanni Veronesi si basa su un episodio realmente accaduto, "uno sgarro" come l'ha definito lo stesso regista salernitano: una macchina rubata durante un battesimo e una lunga notte spesa nel tentativo di ritrovarla.
I protagonisti del film sono due cognati che si sopportano a malapena, di natura così diversa da giustificarne quel totale disaccordo. Toni, imprenditore di malaffare si muove tra le maglie della piccola mafia barese mentre Vito, il borghese piccolo, goffo e impacciato alle prese con una realtà che non conosce e che fatica a comprende.
I due viaggeranno a bordo della fiammante macchina rossa di Toni per tutta la notte attraverso le vie della città, in una ricerca che sembrerà vana ma che avrà anche il pregio di avvicinare i due uomini portandoli a conoscersi meglio.

La città in cui i due uomini si immergono è una Bari oscura, sporca quasi sgualcita dalla fauna che la popola: prepotenti che si spacciano per malavitosi e malavitosi che si spacciano per mafiosi.
Un racconto davvero debole per riuscire a tirare avanti per la lunghezza richiesta da un film e che la sola presenza degli attori che lo percorrono, trasformandolo in un road movie sui generis, non sono certo sufficienti a salvarne le sorti. E così finisce che anche i due si riducono a banali macchiette, marionette 'smorfiose', a tratti insopportabili. Ci si ricorda del "Fuori orario" di Martin Scorsese, ma non se ne ritrova il ritmo o il graffiante humor nero. E neppure il tragico epilogo, che aleggia come una maledizione per tutta la durata della pellicola, non lascia traccia alcuna di emozione.

Valeria Chiari

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