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Mille Neuf Cent Quatre-vingt-un
Nel 1981 Riccardo Trogi aveva undici anni. Oggi che ne ha trentanove porta sul grande schermo quegli anni di pre-adolescenza con una storia autobiografica in cui il protagonista, tanto per non lasciare dubbi, ha proprio il suo nome. Siamo in Canada, Québec city. Riccardo è il figlio di un non ricco commerciante italiano da tempo emigrato in nord America. Ha una sorella e la sua famiglia si è poco trasferita da un’altra cittadina dello stato. Come si sa, a meno che non si è tipi molto cool, difficilmente a scuola i tuoi nuovi compagni ti accolgono con tutti gli onori del caso (e comunque quando ciò accade al cinema non interessa; al cinema interessano i nerd che si riscattano). Per sfuggire dall’anonimato, Riccardo comincia a raccontare bugie. Nei suoi racconti il padre è ricco, la casa non ha un mutuo sopra, possiede una buona conoscenza dell’anatomia femminile e Playboy è una rivista che gira senza problemi per casa (grande motivo di vanto con amici di quell’età prima che nascesse internet).
Peccato che, come si direbbe se volessimo utilizzare le frasi fatte (e lo facciamo): "le bugie hanno le gambe corte".
Lo spunto di "1981" è analogo, almeno a grandi linee, al recente e grazioso "14 anni vergine" (film che poco e nulla aveva a che fare con il titolo scelto dalla distribuzione italiana). Anche qui c’è un Pinocchio di professione con lo stesso obiettivo (la popolarità). L’intento di Trogi non è solo il racconto di una maturazione, ma anche rievocare gli anni ’80. Ecco quindi l’attenzione per i dettagli, la lista di oggetti che hanno caratterizzato quell’epoca e che, per gli occhi di un bambino, apparivano veri e propri target per stabilire il proprio status sociale, mentre ora li si trova nei mercatini ad un euro e poco più. Il tono è senza dubbio ironico, a partire dall’onnisciente voce fuori campo che guida lo spettatore dall’inizio alla fine, con tanto di incisivi estranei spesso alla vicenda. Un espediente che per quanto possa apparire inizialmente simpatico, finisce con l’appesantire oltremodo una vicenda a cui sarebbero bastati meno dei 132 minuti in cui si sviluppa.
Si tratta di una commedia gradevole e adatta ad un pubblico anche giovanissimo (non a caso è stata presentata nella sezione "Alice della città" del Festival del cinema di Roma 2009), ma forse un po’ troppo auto compiaciuta della propria capacità di saper raccontare in maniera originale limitandone, quindi, il pieno godimento.
La frase: "Alle medie chi pensate che voglia passare la propria ricreazione chiacchierando con il primo venuto?".
Andrea D'Addio
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