Miele
Il titolo è anche il nome che la trentenne protagonista Irene, con le fattezze della Jasmine Trinca de “Il caimano” (2006), sfrutta nello svolgere una particolare attività al servizio di determinate persone che soffrono: malati terminali che desiderano abbreviare l’agonia e le cui sofferenze intaccano la dignità di essere umano.
Ma, con un eccellente Carlo Cecchi impegnato a concedere anima e corpo all’ingegnere Carlo Grimaldi, settantenne in buona salute che contatta la ragazza semplicemente perché ritiene di aver vissuto abbastanza, la trasposizione cinematografica del romanzo “A nome tuo” di Mauro Covacich individua il suo maggior elemento d’interesse nel fatto che rappresenta il primo lungometraggio diretto dalla pluripremiata attrice Valeria Golino, già autrice dello short “Armandino e il madre” (2010).
Lungometraggio che, tirando in ballo anche il Libero De Rienzo di “Fortapàsc” (2009), il Vinicio Marchioni della serie televisiva “Romanzo criminale” e la Iaia Forte ospite fissa dei set di Pappi Corsicato, si costruisce in maniera principale sul serrato dialogo lungo il quale il rapporto tra l’uomo e Irene sembra infittirsi di sottintesi e ambiguità affettive.
Serrato dialogo che non manca neppure di regalare qualche indispensabile risata nel corso del suo svolgimento, senza riuscire a nascondere, però, una delle tipiche “trappole narrative” di chi debutta dietro la macchina da presa.
Infatti, mentre molti registi, al loro esordio, sbagliano nell’abbandonarsi a eccessi di virtuosismi tecnici e acrobazie di montaggio, la interprete di “Rain man-L’uomo della pioggia” (1988) e “La guerra di Mario” (2005), al contrario, mantiene una certa staticità per la totale ora e trentasei di durata; sebbene la colonna sonora abbondi in pezzi conosciuti, da “(Nothing but) flowers” dei Talking heads a “Skip divided” di Thom Yorke, passando per “Io sono il vento” di Marino Marini e “Stranger” di Christian Rainer.
E il risultato finale non è neppure disprezzabile, ma l’impressione che il tutto rimanga un po’ troppo ancorato al classico modo di raccontare delle pagine scritte rischia in più occasioni di infiacchire un’operazione caratterizzata dalla interessante, coraggiosa idea di partenza e da un tutt’altro che banale epilogo.
La frase:
- "Ma non ha uno straccio di fidanzato con cui passare il sabato pomeriggio?"
- "Fidanzato vero e proprio no".
a cura di Francesco Lomuscio
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