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Marco Ferreri, il regista che venne dal futuro
Come intercalare, nelle conversazioni, Marco Ferreri chiedeva: “hai capito?”. Perché lui era avanti sui tempi, soprattutto in un’Italia che lasciò prima per la Spagna (lì, in epoca franchista, gira i primi tre film e viene scambiato per un extraterrestre) e passare successivamente alla Francia. A dieci anni dalla morte, Mario Canale - con un documentario-tributo che assembla una trentina di interviste, materiale d’archivio, spezzoni di film, fotografie - ne costruisce un ritratto anche cronologico.
Corpulento, barbuto e scompigliato, infastidito dalle domande, Ferreri non amava parlare di sé. Energia incontenibile (“nelle sedute spiritiche – ricorda la costumista Lina Nerli Taviani - faceva ballare i tavolini”), il sovversivo e compianto cineasta si considerava un pagliaccio, “lupo solitario” entrato casualmente nella Settima Arte per lasciarci poi un segno. Dapprima come produttore (ideato un protocollo cinematografico, vi ospita le future grandi firme italiane, poi inventa il debutto di Antonioni e co-produce Godard), in seguito da regista non disdegnando, a volte, la recitazione. La svolta fu con il successo de “l’Ape regina”, film rimasto bloccato quasi un anno per guai con la censura e quindi tagliato per l’uscita. Problemi sorsero anche con il produttore Carlo Ponti per “l’Uomo dei cinque palloni” - ridotto a episodio da 35’ - o ancora con lo scandalo e le contestazioni provocate da “la Grande abbuffata”. Ma se c’è una cosa che non lo ha mai fermato è stata la paura delle reazioni alle sue opere, che con lucidità pessimista e umorismo nero rappresentano una civiltà in disintegrazione, dove il corpo resta l’unica realtà e alla donna spetta il futuro (considerandosi “al 50% misogino, al 50% femminista”, al mondo femminile ha dedicato diverse pellicole). “Marco Ferreri - Il regista che venne dal futuro” rende onore a un autore prolifico (oltre 30 titoli, comprendenti mediometraggi, documentari e film TV), dai molti riconoscimenti internazionali (ai festival di Berlino, Cannes, Venezia oltre ai Nastri e ai David in Italia) ma respinto dalla memoria di una società dai nervi scoperti.
Federico Raponi
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