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Malefemmene
Le donne in carcere conservano i piccoli gesti della loro vita: si truccano, si vestono, cucinano, parlano dei loro uomini, e di quell'articolo 69 che nel gergo carcerario significa essere finite in prigione a causa del proprio uomo.
È così che Gioia Scola ha voluto raccontare la prigione delle donne nel suo soggetto "Malefemmene", trasformato in sceneggiatura con la preziosa collaborazione di Anna Pavignano.
In una cella di un carcere del napoletano, alle sette donne con le loro storie d'amore, di droga e di solitudine, si aggiunge Francesca, che si ritrova in questo mondo così ristretto a causa dell'uomo sbagliato, errore pagato a caro prezzo. Dopo i giorni di disperazione e paura, vinti con il pianto, Francesca cerca di capire dove si trova, così tanto lontana dal suo universo di giovane borghese desiderosa di avventura e azione, e di attrice affermata. Le sue compagne di cella le somigliano, sopratutto per quella passione d'amore che le ha condotte oltre la morale e la legge. La piccolissima, eppur così varia comunità femminile, passa i caldi pomeriggi e le notti stellate a raccontare i propri sogni e i racconti di vita tanto romantici quanto imprudenti.
La regia di Fabio Conversi è delicata, sensibile quasi femminile, ma il risultato etereo ed edulcorato non è quasi mai coinvolgente. Immagini e frasi disegnate sui muri sono così banali e scontate da non riuscire neppure ad essere vere: altrettanto irreali le donne riunite casualmente in uno spazio chiuso e sbarrato che, così poco credibilmente, provano affetto e comprensione le une per le altre. Le loro azioni e reazioni non sono sempre chiarite e le storie si confondono in racconti di amicizie profonde, amori appassionati, maternità dolorose, vuoti incolmabili: parole che volano nel vento senza uno scopo preciso, se non quello di coprire i già numerosi silenzi delle due protagoniste in particolare, Giovanna Mezzogiorno e Angela Molina. La storia di Gioia Scola raccontata da Conversi non ha nulla di particolarmente interessante da dire: rivediamo per l'ennesima volta prigionieri che in attesa del processo scambiano qualche frase d'amore da una cella all'altra, senza riuscire a vedersi; discussioni insolenti e crudeli di una figlia ad una madre, entrambe rinchiuse in una stessa cella; improbabili secondine che ricercano la compagnia delle carcerate; per finire con il prevedibile dialetto napoletano che, secondo schemi filmici piuttosto provati e oramai privi di sostanza, dovrebbe rendere più vere e drammatiche le proposizioni delle donne o degli uomini di vita.
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Trailer, Scheda, DVD, Recensione, Opinioni, Speciale: intervista a Giovanna Mezzogiorno
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