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Maledimiele











Una società bulimica può generare figli anoressici. Un rifiuto del cibo nato dal disagio esistenziale per la quindicenne protagonista di "MalediMiele", figlia unica di una coppia borghese in cui l'amore si è spento, in una città di solitudine geometrica. Primo piano sulla ragazza con un'espressione tra l'assente e l'implorante, le fette biscottate sul tavolo della cucina, la madre che esce di casa: tre immagini danno il quadro istantaneo di una situazione.

Al secondo lungometraggio di finzione, il cui titolo richiama la "luna di miele" che in gergo medico definisce la prima fase della malattia, il regista Marco Pozzi segue la sua adolescente (che ricambia, rivolgendo lo sguardo in camera) nella lucida e determinata rabbia con cui – una volta stabilito in 38 chili il peso perfetto per sè stessa, che invece si aggira intorno ai 50 - pratica diversi sport, divora i pasti per arrivare alla nausea, osserva scrupolosamente i tanti rituali autoimposti. I quali riguardano il ciclo della colazione (mangiare con voracità, vomitare elencando ciò che la disgusta, comprare di nuovo tutto per poi ricominciare), la classificazione delle regole da seguire, l'aggiornamento dei propri chili segnati sui post-it attaccati con un ordine che cadenza il film, i tratti segnati con un nero pennarello a tracciare i contorni del suo corpo su un lenzuolo, bianco sudario nascosto. Si delinea così una complessa personalità che mente, approccia i coetanei maschi ma poi si blocca, gioca con le ombre delle mani a Pinocchio e Grillo Parlante, scrive un tema scolastico che risulta il migliore della classe, sa parlare al contrario, sta sdraiata sul letto ad occhi aperti con momenti onirici, registra un diario giornaliero.
Nonostante, però, alcuni pensieri poetici, come la dimenticanza della fine del bacio della buona notte ("non ci accorgiamo dei momenti in cui perdiamo qualcosa"), l'opera - mantenendosi nella superficie della cura formale (la fotografia è di Alessio Viola) - lascia al mistero e all'irresolutezza l'inquietudine della sofferenza.

La frase:
- "Io non sono come tutti"
- "Lo credi veramente?".

a cura di Federico Raponi

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