L'uomo che verrà
L'infamia criminale delle rappresaglie sui civili. Il tragico fenomeno è quasi sempre parte integrante delle guerre e l'Italia, nel suo periodo più recente, lo ha conosciuto durante l'occupazione nazista. Uno degli episodi più gravi per dimensioni e modalità è stata la strage di Marzabotto, dove per mano di soldati tedeschi e SS in pochi giorni vennero trucidate circa 770 persone, per lo più donne, vecchi e bambini.

Dopo il felice caso de "il Vento fa il suo giro", suo film indipendente di debutto che – in ambito nazionale e all'estero - ha ottenuto una quindicina di riconoscimenti, con coerente continuità artistica (ambientazione montanara, intepreti scelti tra gli abitanti, utilizzo del dialetto stretto) Giorgio Diritti offre un contributo civile di memoria storica. Tra l'altro investendo molto di sé stesso: ha sceneggiato, prodotto, diretto, montato. Doppiamente a ragione, visto anche che il processo ai responsabili di quella vergognosa pagina si è svolto a 60 anni di distanza dai fatti. Con set e luci naturali, vestiti poveri e consunti, Diritti segue prima una rigorosa ricostruzione di costume (la macellazione del maiale, il parto in casa, i racconti degli adulti mentre tutta la famiglia riunita insieme intreccia ceste) e poi degli eventi. Mostra perciò come, approfittando del vuoto istituzionale e della superiorità di forze nei confronti della Resistenza, i giovani militari teutonici cresciuti sotto il regime hitleriano razziano il bestiame, stuprano, restano impassibili di fronte alla paura, al dolore, alla disperazione, alle invocazioni, rastrellano e uccidono nelle case, in chiesa, in un cimitero. Dopodichè banchettano, si ubriacano, cantano e ballano. Per un apprezzabile intento didattico di speranza contro i conflitti, sull'epico sottofondo di un coro d'età verde gli occhi sono quelli di una bambina che nell'orrore generale ha smesso di parlare, sopravvive per caso all'eccidio, salva il fratello neonato (eccolo, "L'Uomo che verrà"), lo riporta con sé al casale ormai vuoto e comincia a cantare.

La frase: "Non si chiedono soldi a chi è nel bisogno".

Federico Raponi

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