21 Ottobre 2009 - Conferenza
"L'uomo che verrà"
Intervista al regista e al cast.
di Federico Raponi

Il regista Giorgio Diritti, il produttore Simone Bachini, la sceneggiatrice Tania Pedroni, gli attori Claudio Casadio, Alba Rohrwacher, Maya Sansa, Greta Zuccheri Montanari hanno presentato, in conferenza stampa al Festival del Cinema di Roma, il film 'L'Uomo che verrà'.


Come ha influenzato il lavoro sul film l'incontro con i sopravvissuti dell'eccidio di Marzabotto?
Giorgio Diritti: Sicuramente c'è stato l'apporto umano della dimensione emotiva, fondamentale nella lettura delle testimonianze ma in particolare nel rapporto diretto. Si è trattato di rifare un percorso di sofferenza che non è ancora finito, chi ha avuto la famiglia distrutta è rimasto con un senso di colpa e di angoscia. Nel film, la famiglia protagonista è inventata, ma ogni personaggio ha caratteristiche di persone vere. Della strage, in tutto questo periodo se ne è parlato, ma il processo risale solo a due anni fa.

Negli ultimi tempi, i lavoratori del cinema italiano sono stati istituzionalmente definiti "parassiti" e "mantenuti di Stato"...
Giorgio Diritti: Ci sono persone che ogni tanto parlano gratuitamente. L'educazione fa parte del futuro di una società, la cultura le permette di evolversi ed avere una dimensione sociale migliore. La mia piccola ambizione è che tra 500 anni la guerra sia un passato storico, come lo è stato mille anni fa il cannibalismo. In questo, la cultura è straordinariamente importante. Io non credo che ci siano dei mantenuti, chi lo sostiene dovrebbe pensare a come è arrivato lì dove si trova e allo stipendio che percepisce. In generale, chi esprime giudizi sulle persone lo fa da posizioni di comodo.

Perchè l'utilizzo del dialetto?
Giorgio Diritti: Per una ricerca del coinvolgimento emotivo e del realismo, per entrare nell'atmosfera di quell'epoca. E' una lingua estranea alla quotidianità che permette di fare un salto nel tempo. L'uso solo dell'accento bolognese ha più una valenza da cinema anni '70, e la sensazione era che avrebbe potuto allontanare dallo spirito del film. La decisione è stata comunque presa due settimane prima dell'inizio.

Se si guarda al recente caso di 'Baaria', sembra una tendenza...
Giorgio Diritti: E' una questione di identità, e poi il dialetto ridà un suono, un sapore che l'Italia ha perso. Ricordo qualche anno fa il film 'la Capa gira', il dialetto era la sua forza. Credo che alcune volte le storie trovino un senso proprio in relazione al linguaggio.

Il dialetto è ancora vivo nell'area?
Giorgio Diritti: molto poco, e soprattutto nelle zone di montagne, perchè chi lo parlava era considerato ignorante. In altre regioni si è mantenuto più forte.

Vi siete serviti di un insegnante?
Maya Sansa: Il dialetto è molto specifico di quell'area, e antico. Abbiamo avuto un fantastico insegnante della zona, sopravvissuto da bambino alla strage, che è stato un grande aiuto anche in fase di scrittura. Sul set, collaborava con Giorgio sull'accento. Le difficoltà, comunque, divertono molto gli attori, sono una bella sfida.

Ci sono, nella messinscena, anche riferimenti pittorici?
Giorgio Diritti: Con il direttore della fotografia Roberto Cimatti siamo partiti dallo studio di fotografie della cineteca di Bologna, poi di quelle scattate da soldati USA e infine della produzione artistica dell''8-'900 sulla campagna. Tutti questi elementi alla fine si sono fusi insieme. Io poi sono abbastanza istintivo, le cose risuonano in me ed è lì che nasce una dimensione.

Rispetto all'iconografia classica sul nazismo?
Giorgio Diritti: La nostra è stata una ricerca sulla realtà dei fatti. Abbiamo seguito un'attenta ricostruzione anche sul numero dei soldati e delle persone coinvolte. Sui soldati che ci sono stati descritti è emerso l'elemento - abbastanza inquietante - di un'età molto giovane, erano ragazzi cresciuti durante il nazismo, abituati quindi a considerare gli altri esseri umani e gli italiani, diventati traditori, come dei sub-umani. Per loro, uccidere un topo, una mucca, un uomo era quasi uguale. In più c'era la dimensione bellica del "pulire" il territorio. Nella rappresentazione, ci sono piccole cose che ho evitato. Ad esempio, non si vede neanche un pastore tedesco. Volevo raccontare la drammaticità di uomini che arrivano ad uccidere con naturalezza.

Com'è stata la tua esperienza?
Greta Zuccheri Montanari: Quando ho saputo che non avrei parlato, mi è sembrato abbastanza normale. Ogni tanto mi veniva da dire qualcosa, e alla fine ho cantato come per esprimere solitudine, per ricordare attraverso il canto, come se tornasse un pensiero.

In periodo di revisionismo storico, si tende ad evidenziare le colpe partigiane...
Giorgio Diritti: Anche qui le basi storiche sono state attente, e poi ci sono state scelte di sceneggiatura. La guerra porta le persone a modificarsi e ad avere atteggiamenti incoerenti senza che neanche se lo immaginino. Nel film, il ragazzo che all'inizio non vuole uccidere arriva ad ammazzare a sangue freddo. A Monte Sole c'è stata una strage di civili, il comando partigiano non aveva strutturato una linea difensiva significativa e gli uomini erano praticamente disarmati. Il fulcro della questione, comunque, è che nessuno immaginava quel che avrebbero fatto le SS. Ciò che è avvenuto è qualcosa di mostruoso che ha fatto emergere l'impreparazione e anche la paura dei partigiani, molti erano lì perchè non sapevano cosa fare. Il revisionismo mi dà fastidio, nel film faccio un percorso differente, per me la vita va difesa per le cose che secondo noi sono importanti. In questo, la guerra è qualcosa di estraneo che purtroppo fa parte del nostro percorso storico, spero che in futuro sia ricordata come una vecchia soluzione ai problemi. Bisogna difendere la diversità, la convivenza civile, mentre invece oggi continua a serpeggiare il razzismo.

Nel film i partigiani vengono definiti ribelli...
Giorgio Diritti: Si tratta della normale definizione gergale, senza neanche un peso politico particolare, che stava a indicare chi era contro il fascismo e i tedeschi.

Si nota, in Rohrwacher e Sansa, il lavoro sul corpo, sul volto, sulla recitazione, per amalgamarsi al resto di un cast scelto così bene da sembrare molto naturale in un passato contadino...
Alba Rohrwacher: La prima cosa è stata la fiducia in Giorgio, che voleva una fusione con gli altri nel cast. Poi c'è stato un lavoro sullo specifico, sul trucco, sui vestiti, che aiuta. L'obiettivo era annullarci per raccontare una storia che sentivamo necessaria.
Maya Sansa: Sicuramente sul trucco e sui vestiti. C'è quasi un'assenza di trucco, ma con un grande lavoro dietro, e i vestiti sono arrangiati perchè nella realtà non erano su misura, le donne se li passavano. E poi sulla sporcizia. Non per mancanza di igiene, ma perchè non c'erano le condizioni, si lavorava nei campi. Il periodo delle riprese stavamo in un agriturismo, eravamo un gruppo che condivideva il quotidiano. Il posto era gestito da una donna che mi ha insegnato a fare il pane, legata alla Natura, di grande energia, una figura molto importante.

Quando e come è nato il titolo?
Giorgio Diritti: Non ricordo bene, nella logica dello sviluppo della storia è emersa l'idea di un riscatto, di una riaffermazione, di una gioia. E poi ci interroga sull'oggi e sul futuro. Unire questi due elementi allarga lo specifico ad una dimensione più ampia.

Per Claudio Casadio è un esordio cinematografico, viene dal teatro per bambini...
Giorgio Diritti: L'incontro con lui è avvenuto quando ho visto il suo spettacolo su Pollicino. Mi ha colpito sia per la grande capacità di catturare l'attenzione e incantare che per il volto forte. Ho pensato a lui come a un albero, sembra che faccia parte naturalmente di quel territorio e di quella famiglia. E' andata bene, anche perchè a volte il passaggio dal teatro al cinema non è facile e poi c'era il probema del dialetto, perchè Casadio è romagnolo.
Claudio Casadio: Sono sempre molto impegnato con la mia compagnia, ma ho accettato con entusiasmo. La mia è una famiglia di braccianti, mio padre è stato in campo di concentramento in Germania, la strage di Marzabotto la conoscevo fin da piccolo, è un esempio di quel crimine che è la guerra. Per questo per me è stato importante contribuire al film. Nella recitazione ho dovuto sottrarre molto, perchè sono molto intenso. Ho cercato di dare prima la durezza e la fatica di un personaggio che lavora sodo in quanto ha una famiglia composta da molte donne, e poi il dolore di chi in una notte ha visto distrutto tutto ciò che aveva, perchè le tragedie uccidono anche chi sopravvive. Mi piace il finale scelto da Giorgio, con una morte non eroica: il personaggio va incontro ai soldati perchè non ce la fa a sopportare il dolore.

Le reazioni in loco e l'uscita in sala?
Giorgio Diritti: La distribuzione sarà Mikado, stiamo definendo le date. C'è un'attesa molto forte, un progetto importante con le scuole e già un programma di proiezioni con una cura particolare al territorio. Finora l'hanno visto solo due consulenti che hanno seguito a La Spezia il processo per la strage. Alcuni sopravvissuti non vogliono vederlo, sarebbe un calvario ulteriore. Quando mi raccontavano si trasformavano, uno di loro è tornato a parlare come un bambino. Il film è per i nostri figli e nipoti, come monito per il futuro.

E' prevista anche una distribuzione internazionale?
Giorgio Diritti: Abbiamo un venditore estero: Intramovies.

Che ruolo può avere un film per smuovere la situazione, dato il lungo periodo che c'è voluto per arrivare al processo?
Giorgio Diritti: Non so se oggi si possa colmare un vuoto di 60 anni. La Guerra Fredda ha coperto la verità, che certo non restituisce la vita, ma in questo modo neanche la memoria. Il film può aiutare a migliorare la convivenza civile.

Le istituzioni si vedono solo in un paio di scene...
Giorgio Diritti: Essendo un po' istintivo ho voluto mettere l'accento sulla vita, più che realizzare un film storico. Però la presenza del fascismo e la mancanza di libertà ci sono.
Tania Pedroni: Il motivo è anche la distanza, si tratta di una comunità montana, c'era la neve, il paese più vicino si trova a chilometri. Ma, pure se lontani, le regole dall'alto e i condizionamenti del regime c'erano.

Difficoltà e risultati produttivi?
Simone Bachini: Per noi era fondamentale farlo come Giorgio voleva, non abbiamo mai pensato di limitare o ridurre. La storia la sentivamo profondamente, ci siamo esposti, ma sentivamo anche di avere con noi una serie di partners.
Giorgio Diritti: Per lavorare bene insieme e superare le difficoltà il segreto è la condivisione. Non solo per realizzare qualcosa, ma per sentirla e parteciparla.

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