L'ospite segreto
"L'ospite segreto" è un film italiano diretto da Paolo Modugno, artista multiforme, attore, regista teatrale e televisivo, autore, sceneggiatore, direttore del doppiaggio e chi più ne ha più ne metta. Con questa opera approda alla regia cinematografica con risultati, a mio avviso, francamente deludenti. Perché "L'ospite segreto", nonostante le nobili tematiche che ha per oggetto, è un film brutto.
La storia del clandestino Hadì (Ludgero Fortes Dos Santos, anche lui proveniente da una significativa esperienza televisiva) e delle sue peripezie per raggiungere le coste di un Paese occidentale è girata con approssimazione e scarsa sensibilità cinematografica. La narrazione manca di fluidità e di equilibrio concentrandosi troppo sui personaggi appena abbozzati e soprattutto prevedibili e scontati come peraltro i dialoghi ai quali gli attori, con evidente disagio, cercano di dare un senso un pò più profondo. Hadì è in balia ora degli aguzzini di un Paese nordafricano (volutamente decontestualizzato in una babele di lingue dove ci si finisce per confondere), ora vittima degli sfruttatori occidentali. L'unico che si offre di aiutarlo è Emanuele (Corso Salani, "Il muro di gomma", "Nel continente nero") un Capitano della Marina militare prestato alla flotta mercantile per trasportare degli aiuti umanitari nei paesi del terzo mondo. Accoglie Hadì sulla sua nave, celandolo al resto dell'equipaggio. Tra i due si stabilirà una forte intesa che darà al clandestino una solidarietà mai ricevuta e al Capitano una consapevolezza ed una speranza verso una vita che fino a quel momento aveva per lui riservato solo le briciole.
Il rapporto tra i due uomini, la maturazione che scaturisce dalla conoscenza reciproca, è forse la cosa migliore del film. Così come anche il tentativo di abbozzare personaggi romantici ed idealisti come il commissario interpretato da Ben Gazzarra o la sua collaboratrice (Romina Mondello, altra creatura televisiva) è tutto sommato lodevole se non fosse che il tutto è frustrato da una costante banalizzazione del modo di fare cinema rappresentato dall'uso ossessivo della musica, dal muoversi della macchina da presa come fosse in uno studio televisivo, dalla immobile fissità della messinscena tale da rendere pesante anche le sequenze più movimentate.
Film deludente che avrebbe meritato, a mio parere, qualche rilettura in più in sede di sceneggiatura.
Belle le canzoni di Sarah Dietrich e Mark Hanna (ma era proprio necessario la lunga videoclip iniziale?).

Daniele Sesti

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