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Locke











Ivan Locke è un uomo comune, con una famiglia, una casa, un buon lavoro. Ha la vita che tutti vorrebbero avere. Ma, una sera, una telefonata può far crollare il suo mondo e l’intera sua apparente stabilità. All’altro capo dell’apparecchio c’è la donna con cui lui ha passato, ubriaco e quasi controvoglia, un’unica notte; la sola donna con cui ha mai tradito sua moglie. Lo ha chiamato per comunicargli che è in ospedale, in procinto di partorire il loro bambino.
Il film prende le mosse da questo antefatto, e segue Ivan Locke nel suo viaggio in macchina verso Londra, nell’ora e mezza in cui prende le redini del proprio destino e si assume delle responsabilità che daranno una svolta permanente alla sua vita. Innanzitutto, deve comunicare alla moglie, che lo attende a casa con la maglia della sua squadra del cuore, di averla tradita con una sconosciuta che ha lasciato incinta. Dopodiché, deve andare incontro a un sicuro licenziamento, dal momento che si assenterà dal lavoro nel giorno più importante della storia della ditta per cui lavora.
Quella affrontata da Steven Knight (sceneggiatore di "Piccoli affari sporchi" di Frears e di "La promessa dell’assassino" di Cronenberg, qui alla sua seconda prova come regista) è una grande sfida: il film, infatti, è tutto ambientato nell’auto in tragitto verso la capitale.
È un’operazione che ricorda per molti aspetti il claustrofobico (e peggiore) "Buried – Sepolto" dello spagnolo Rodrigo Cortés, interamente girato in una bara, con un unico attore. Dal punto di vista registico la pellicola è solida e lineare, e riesce con successo a sottolineare la guerra interna al personaggio, deciso a compiere ciò che sa essere giusto (stare di fianco al bambino fin dall’inizio) ma roso dai rimorsi, consapevole dell’altissimo prezzo che dovrà pagare per perseguire il bene.
Tom Hardy appare decisamente a suo agio nei panni di Locke, lasciando intravedere tutte le pulsioni del suo personaggio attraverso minimi gesti, minime espressioni, lavorando per sottrazione (come d’altronde è tipico degli attori inglesi).
L’unica nota negativa è l’assenza di tensione: il film sembra costantemente in procinto di decollare ma finisce col restare con i piedi saldi a terra. Forse è colpa della sceneggiatura che spezza la storia in frammenti, alternando le chiamate da/per casa, quelle da/per il lavoro e quelle dalla donna in ospedale, facendo in modo che lo spettatore venga continuamente sballottato da una vicenda all’altra senza appassionarsi veramente a nessuna di queste.
Annunciato inspiegabilmente come un thriller e come una pellicola à la "Drive", "Locke" è stato accolto a Venezia con un fiume di applausi e definito da molti "la vera sorpresa del Festival", tanto da essere stato accompagnato anche da numerose proteste per il suo non inserimento in Concorso. È vero che risulta essere di gran lunga migliore di molti lungometraggi in gara quest’anno, ma bisogna anche non cadere nelle trappole: non bastano un solo set e un solo attore per rendere un film un capolavoro.

a cura di Luca Renucci

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