L'enfer
Il regista polacco, Krzysztof Kieslowski e il suo sceneggiatore, Krzysztof Piesiewicz avevano, nel 1996, iniziato ad elaborare un progetto per una trilogia, intitola: "Inferno", "Purgatorio" e "Paradiso".
Nel 2002, Tom Tykwer, regista di "Lola corre", aveva portato sullo schermo, con esito poco felice, la parte relativa al paradiso nel film "Heaven"; ora Danis Tanovic, il regista premio Oscar di "No man's land", ha deciso di dar vita alla sceneggiatura de "L'inferno".
L'idea dell'inferno, per Kieslowski e Piesiewicz, risiede tutta nella famiglia. La storia racconta la vita di tre sorelle: Sophie, Céline e Anne, che hanno avuto l'infanzia segnata da una tragedia familiare. Ormai adulte si sono perse di vista e ognuna vive e rielabora il dramma in modo personale.
Sophie, la bellissima Emmanuelle Beart, è annientata dal dolore per il tradimento del marito. Celine è sola, non ha amici né amori ed è l'unica che va a trovare la madre inferma, una donna dura e fredda, con cui le altre figlie non vogliono più avere rapporti. Anne, studentessa universitaria, non si vuole rassegnare alla fine della relazione col suo professore. Anche se vivono tutte e tre a Parigi non si vedono e non si sentono da anni, finché l'arrivo di Sébastien nella vita di Céline, sconvolgerà le loro esistenze, le darà l'occasione di ritrovarsi e di confrontarsi con il passato, rivelando loro una lontana verità...
"Quello che voglio mostrare" diceva Kieslowski "è che i problemi non sono mai pratici o politici. I veri problemi sono sempre dentro di noi". E' interessante che sia proprio un regista come Tanovic, passato per l'inferno della guerra, a raccontare questa storia di drammi borghesi, intimi e familiari.
"Dopo aver conosciuto anni di guerre"racconta "sono scioccato nel constatare come in un ambiente in cui tutti gli elementi potrebbero concorrere alla nostra felicità, le persone vivono e si creano un loro inferno personale".
Dal film si capisce perfettamente che queste angosce, questi tormenti, non sono sentiti dal regista, ne è affascinato ma non riesce a penetrarvi, li osserva freddo e distaccato. Ed è questa la sensazione che restituisce. Non si crea, perciò, l'empatia necessaria tra i protagonisti e lo spettatore, quel legame emozionale, che permette di partecipare al dramma, di assaporare i tempi dilatati della narrazione.
Non si tratta di lamentare la mancanza di una buona confezione, ma è una bellezza estetica priva di sostanza; alcune scene si protraggono eccessivamente, come il pedinamento di Sophie che arriva a diventare improbabile e la didascalicità di certe affermazioni e di certi dialoghi irrita a lungo andare.
Insomma anche questa volta non si è riusciti ad onorare la memoria di Kieslowski.

La frase: "La tragedia è lo scontro tra la sfera mortale e quella divina. Nella nostra società, che ha abbandonato Dio, non esistono più tragedie ma solo grandi drammi".

Elisa Giulidori

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