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Liberaci dal male











Autore di “Ultimatum alla Terra” (2008) e “Sinister” (2012), Scott Derrickson aveva già avuto modo di raccontare sullo schermo l’avventura di un poliziotto alle prese con forze infernali tramite il suo esordio dietro la macchina da presa “Hellraiser: Inferno” (2000), quinto capitolo della popolare saga horror nata dalla penna dello scrittore britannico Clive Barker.
A quattordici anni di distanza da quell’apprezzabile straight to video torna ad occuparsi di una vicenda analoga con la trasposizione cinematografica di “Deliver us from evil” di Ralph Sarchie e Lisa Collier Cool, che, dopo un breve prologo ambientato in un palmeto nel deserto iracheno del 2010, passa alla New York di quattro anni più tardi per mostrare una serie di assurdi eventi spazianti da un bambino lanciato dalla madre nella gabbia di un leone allo zoo alla scoperta di antiche scritture latine e strani simboli.
Eventi in cui non solo, affiancato da una ex guardia forestale con le fattezze del Joel McHale di “Insieme per forza” (2014), si trova presto coinvolto un sergente del NYPD incarnato dall’Eric Bana di “Hulk” (2003), ma sui quali imperversa anche un’oscura figura incappucciata che si aggira per le strade.
Figura incappucciata dalle cui tutt’altro che benevoli intenzioni il protagonista si vede costretto a dover difendere anche moglie e figlia, man mano che stringe una complessa e sottile alleanza con un prete ribelle interpretato dall’Édgar Ramírez di “Zero Dark Thirty” (2012), destinato a convincerlo che il tutto sia riconducibile a casi di possessione demoniaca.
Argomento non nuovo all’interno della filmografia derricksoniana, se consideriamo che in essa sia incluso anche il chiacchieratissimo “The exorcism of Emily Rose” (2005), ma che viene in questo caso affrontato in maniera piuttosto atipica, in quanto immerso in una tipologia di spettacolo su celluloide di taglio chiaramente poliziesco.
Infatti, tra tutt’altro che rassicuranti rumori provenienti da scantinati e raccapriccianti ritrovamenti di cadaveri e gatti squartati, sono in particolar modo le indagini ad essere privilegiate durante le due ore di visione; nel corso delle quali viene descritto come ormai il male primario abbia consolidato le sue radici e c’è anche il tempo di ribadire la differenza tra giustizia e vendetta, in quanto quest’ultima distrugge il vendicatore.
Fino all’atteso esorcismo conclusivo di una non eccelsa (soprattutto a causa di uno script non privo di difetti) ma riuscita operazione che, con “Break on through” e “People are strange” dei Doors a fare da inquietante presagio sonoro, annovera uno dei suoi migliori momenti nella tesa sequenza che si svolge nell’abitazione del misterioso Santino.
Insomma, non ci si annoia e si balza dalla sedia in più di un’occasione.

La frase:
"Possiamo parlare a lungo del problema del male, ma il problema del bene?".

a cura di Francesco Lomuscio

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