L'Evocazione - The Conjuring
Il Patrick Wilson di “Watchmen” (2009) avevamo già avuto modo di vederlo sotto la direzione del cineasta di origini malesi James Wan in “Insidious” (2010), mix di dramma familiare e ghost story che guardava in maniera evidente sia ai primi due capitoli della serie “Amityville” che a “Poltergeist-Demoniache presenze” (1982) di Tobe Hooper.
Ma, mentre lì vestiva i panni di un padre alle prese con gli strani fenomeni riguardanti la vecchia villetta di periferia in cui si era trasferito con moglie e figli, qui indossa quelli di un investigatore del paranormale di fama mondiale che, affiancato da una collega incarnata dalla Vera Farmiga di “Orphan” (2009), viene chiamato ad aiutare una famiglia terrorizzata da una presenza maligna che sembra nascondersi nella propria fattoria isolata.
E pare che prenda il via da fatti realmente accaduti l’oltre ora e cinquanta di visione che, senza dimenticare di generare inquietudine già a partire dal prologo, non manca neppure in questo caso di omaggiare la succitata produzione spielberghiana diretta da Hooper, tra un televisore acceso e privo di segnale video e immancabile pupazzo dalle fattezze di clown.
Del resto, se teniamo in considerazione anche il suo “Dead silence” (2007), non è certo nuovo l’interesse nei confronti delle figure di bambola per l’iniziatore della gettonatissima saga “Saw”; che si trova qui a confezionare un’opera sicuramente simile alla non disprezzabile precedente, della quale rispecchia in particolar modo l’idea di partenza, ma conseguendo risultati decisamente migliori.
Perché, immerso in una ottima fotografia da film horror anni Settanta, “L’evocazione-The conjuring” riesce nella oggi sempre più difficile impresa di costruirsi su ritmi di narrazione tanto lenti quanto tesi; man mano che situazioni come quella del gioco della mosca cieca provvedono a trasportare lo spettatore verso apparizioni spettrali che, una volta tanto, incutono vero terrore, a differenza di quelle sfruttate nell’infinità di produzioni post-“Ringu” (1998) tempestate di effetti digitali e pallide ragazzine dai lunghi capelli neri.
Quindi, anche se, magari, si sarebbe tranquillamente potuta evitare l’immancabile sequenza del rito esorcistico, la risultante rimane un coinvolgente involucro di celluloide che, non privo di sedie a dondolo e persone catapultate da una parte all’altra dello schermo da forze invisibili, racchiude in maniera affascinante tutti quegli elementi che tanto ci spaventavano nelle storie raccontateci quando eravamo bambini... e che riescono a spaventarci ancora oggi se adeguatamente usati, come dimostra Wan.
La frase:
"I fantasmi non hanno poteri del genere, credo che abbiamo a che fare con una entità manipolatrice".
a cura di Francesco Lomuscio
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