L'enfant - Una storia d'amore
Un giovane randagio metropolitano di cui la madre non vuole sapere niente. Del suo passato sappiamo solo questo. Con la compagna ha appena avuto un figlio ma, tutto preso a sopravvivere di espedienti, in lui non c'e' posto per l'etica e l'amore. Rifiuta l'offerta di un'attività come facchino, da parte di chi vuole aiutare l'incerta coppia, perché ha una pessima considerazione del lavoro.
Preferisce proseguire rischiando come da abitudine. Fa il ricettatore sfruttando ladruncoli adolescenti, elemosina in giro, scippa, affitta l'appartamento di proprietà della ragazza. Per gli "affari", ogni contatto lo tiene tramite telefono cellulare, che è la sua unica reperibilità insieme ai rifugi occasionali: il dormitorio o una baracca sull'argine del fiume. Poi, in un continuo e livido presente, è anche capace di spendere i ricavati nell'affitto di una cabriolet per un giorno di gita.

In un agire senza freni, cercare di realizzare un colpo grosso con la criminalità organizzata è chiaro che gli porterà solo guai concatenati. Toccando il fondo morale può avere però un'altra prospettiva e la spinta al cambiamento grazie a circostanze, reazioni altrui, moto interiore.
Rispetto a Rosetta (film che li ha fatti conoscere in Italia grazie alla Palma d'Oro 1999), i fratelli Jean-Pierre e Luc Dardenne credono stavolta nel riscatto individuale. Anche se il loro risultato emotivo più complesso ed intenso resta il figlio.

I registi, fedeli ad un'attenzione realista verso l'emarginazione sociale, seguono ne l'enfant (vincitore a Cannes quest'anno) un protagonista ferito, solitario, famelico. Quasi un animale di strada. E individuano ben maggiori responsabilità nei grandi traffici della malavita, fiorenti sulla disperazione, di cui egli è solo uno dei tanti terminali.
Come indica il titolo, tutto ruota comunque intorno al neonato, in quanto fiducia nel domani; già solo per il fatto di esserci, questo piccolo fagotto è fattore determinante di trasformazione.

La frase: "non mi va di lavorare: è roba da coglioni".

Federico Raponi

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