Le belve
Sebbene (almeno per il cinefilo stracult) il titolo italiano possa immediatamente richiamare alla memoria una commedia ad episodi di Giovanni Grimaldi che, nel lontano 1971, ebbe per protagonista Lando Buzzanca, non vi è molto spazio per ridere dinanzi al lungometraggio diretto da Oliver Stone, trasposizione cinematografica dell’omonimo romanzo scritto da Don Winslow.
Con una tematica alla "Traffic" di Steven Soderbergh, infatti, al centro dei circa 131 minuti di visione abbiamo l’ex Navy Seal Chon e il pacifico e caritatevole botanico Ben; i quali, rispettivamente interpretati dal Taylor Kitsch di "Battleship" e dall’Aaron Taylor-Johnson di "Kick-Ass", si condividono l’amore per la bella Ophelia alias Blake Lively, insieme a cui conducono una vita tranquilla e senza problemi grazie alla produzione della migliore marijuana mai coltivata.
L’elemento giusto per poter attirare l’attenzione dei trafficanti messicani di Baja, il cui capo Elena "La Reina", con le fattezze della Salma Hayek di “Dal tramonto all’alba”, si impone ai due ragazzi come socio, calcolando che nessuno può opporsi a lei senza sacrificare qualcosa di importante, ma sottovalutando l’inossidabile legame che tiene unito il trio.
L’elemento giusto per permettere di scatenare una battaglia destinata a coinvolgere anche il viscido agente della DEA Dennis, cui concede anima e corpo John Travolta, l’astuto commercialista Spin, con il volto dell’Emile Hirsch di "Into the wild - Nelle terre selvagge", e, al fianco della donna, il brutale Scagnozzo Lado e l’avvocato senza scrupoli Alex, nei cui panni troviamo Benicio Del Toro e il Demián Bichir di "Hipnos".
Un ricco cast decisamente sprecato, se teniamo in considerazione il fatto che lo spettacolo in questione, tempestato di temi musicali e canzoni neanche fosse un lungo videoclip (con "Do ya" degli Electric Light Orchestra sfruttata malissimo, oltretutto), altro non presenta che i connotati di un frullato di situazioni viste e riviste camuffate dietro una regia piuttosto indecisa e schizofrenica.
Una regia inizialmente caratterizzata da un veloce montaggio che rende fastidiosamente assordante il tutto, per poi rallentare i ritmi di narrazione e catturare nella letale morsa della noia lo spettatore; presto consapevole di avere davanti ai suoi occhi una vicenda che, inutilmente tirata per le lunghe, oltre che dal citato film di Soderbergh sembra "rubacchiare", tra gli altri, da William Friedkin, Robert Rodriguez e Quentin Tarantino.
Proprio lo stesso Quentin Tarantino sul cui cinema, spesso, Stone ha avuto da ridire... ma dal quale farebbe meglio ad apprendere qualcosa di buono, visto che, in questo caso, neppure le sequenze d’azione, infarcite con la violenza tipica del sopravvalutato autore di "Platoon" e "Assassini nati", riescono nell’impresa di coinvolgere.
La frase:
"Non puoi cambiare il mondo, è lui che cambia te".
a cura di Francesco Lomuscio
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