Lebanon
La prima Guerra del Libano vista dal ventre di un carro armato.
Questo il tema del film di Samuel Maoz, presentato in concorso al 66° Festival del cinema di Venezia. I protagonisti sono quattro giovani di vent’anni: Shmulik, l’artigliere, Assi, il comandante, Herzl, l’addetto al caricamento dei fucili, e Yigal, l’autista. In Lebanon, il regista Samuel Maoz vuole dimostrare la superficialità con cui alcuni soldati israeliani, del tutto impreparati a situazioni di combattimento vero furono (sono?) gettati in scenari di guerra senza un addestramento degno di questo nome. Il tema vero e proprio è la difficoltà di prendere decisioni rapide e corrette nella concitazione di un’azione militare. Il carro armato è una macchina di morte e di distruzione la cui natura corazzata protegge chi è all’interno dagli attacchi dal mondo interno. Questo mezzo potente è però dotato di un occhio non indifferente che scruta la realtà che lo circonda, uno sguardo che osserva, ma non a senso unico. La guerra, con la sua crudeltà, scruta nel profondo dell’animo dei carristi, offrendo loro scenari di morte, violenza e desolazione. Spesso le vittime del carro armato sembrano osservare direttamente i loro carnefici. E’ un illusione naturalmente, eppure la forza di penetrazione di quello sguardo così lontano e così apparentemente innocuo ha effetti devastanti in cui si rifugia nella falsa protezione di quel ventre di metallo. Grazie a un montaggio sonoro di rara potenza, che da allo spettatore la sensazione di trovarsi davvero nel carro armato, nell’assordante sferragliare di meccanismi, fuoco e vapore, la pellicola di Maoz diventa, nella sua claustrofobia soffocante, una sorta di esperienza totale. Lebanon è anche un impressionante spaccato dei risvolti psicologici che caratterizzano la violenza imperante da decenni in medio oriente. Un film dunque duro, nelle immagini, nei dialoghi e nei suoni, tecnicamente inesorabile ed estremamente scorrevole, pur nel suo orrore. Il finale offre un cenno di speranza, apparentemente fuori tono ma in realtà potente nella sua quiete dissonante. Uno dei migliori film di Venezia 66.

La frase: "L’uomo è di acciaio, il carro armato è solo ferraglia".

Mauro Corso

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