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Le avventure di Tintin: il segreto dell'unicorno











Tenendo in considerazione il fatto che sia il neozelandese Peter Jackson a figurare in qualità di regista della seconda unità e di produttore del lungometraggio attraverso cui Steven Spielberg trasferisce su grande schermo le avventure di Tintin, personaggio cardine dei romanzi grafici scritti e disegnati dal belga Georges Remi sotto pseudonimo Hergé, appare quasi come un omaggio al suo "Splatters - Gli schizzacervelli" (1992) la citazione verbale relativa al ratto gigante di Sumatra improvvisamente snocciolata durante i circa 107 minuti di visione.
Minuti di visione concepiti attraverso un mix di animazione digitale e performance capture 3D volti a porre nei panni del giovane e curioso reporter del titolo il Jamie Bell di "Jane Eyre" (2011), il quale, scoperto il modellino di una nave che nasconde un segreto esplosivo, finisce coinvolto in un mistero vecchio di secoli; attirando l’attenzione del diabolico Ivanovitch Sakharine interpretato dal bondiano Daniel Craig, convinto che abbia rubato un inestimabile tesoro legato a un perfido pirata.
Quindi, dal fondo degli oceani ai deserti del Nord Africa, prende il via un viaggio destinato a toccare mezzo mondo alla ricerca dell’Unicorno, imbarcazione naufragata forse chiave di un’immensa fortuna, mentre fanno la loro entrata in scena sia i detective pasticcioni Thomson e Thompson, ovvero il Nick Frost e il Simon Pegg de "L’alba dei morti dementi" (2004), che l’arguto e irascibile Capitan Haddock, incarnato dall’ex Gollum Andy Serkis.
E, nell’osservare il rapporto di amicizia, lealtà e fiducia tra il protagonista e quest’ultimo, è quasi impossibile non avvertire una certa vicinanza a quello che legava Indiana Jones e il padre con le fattezze di Sean Connery in "Indiana Jones e l’ultima crociata" (1989); tanto più che, sebbene in alcuni momenti s’intravedano rimandi a "Hook - Capitan Uncino" (1991), sono proprio le scorribande dell’archeologo più spericolato della Terra – complice l’uso della colonna sonora di John Williams – a tornare alla memoria, soprattutto nelle sequenze ambientate sulla nave e a bordo dell’aereo.
Perché, pur trovandoci dinanzi ad una produzione d’inizio XXI secolo concepita grazie alla CGI, le assurde dinamiche da cartoon riguardano per lo più le imprese del cagnolino Milou, mentre le atmosfere e i colori presenti non faticano a conferire al tutto il sapore di una pellicola appartenente a qualche decennio fa, all’epoca d’oro dei sogni su celluloide spielberghiani.
Anche se, in mezzo ad abbondanza di azione e ironia (c’è anche una divertente situazione con un anziano cleptomane), non rientra con ogni probabilità tra le maggiori prove del Re Mida di Hollywood questa apprezzabile operazione, infarcita d’immancabile morale relativa al credere in se stessi per non lasciarsi mai sconfiggere e tra i cui maggiori pregi rientra il notevole ritmo narrativo. In fin dei conti, il montaggio è curato dal fido Michael Kahn, non a caso aggiudicatosi il suo primo Oscar con "I predatori dell’arca perduta" (1981).

La frase:
"Solo un vero Haddock può scoprire il segreto dell’Unicorno".

a cura di Francesco Lomuscio

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