La ragazza che giocava con il fuoco
Quando si chiede troppo ad un'eroina vendicatrice di torti femminili.
Se in "Uomini che odiano le donne" erano un lui e una lei a cercare i colpevoli di una serie di uccisioni di giovani donne, qui i due si muovono parallelamente. Lisbeth infatti caccia da sola, nascosta in quanto a sua volta braccata. "La Ragazza che giocava con il fuoco" - secondo, omonimo titolo tratto dalla trilogia di romanzi "Millennium" di Stieg Larsson, maggiore fenomeno editoriale europeo del 2008 – ne fa un personaggio che ad un anno di distanza dal caso di partenza ha viaggiato molto in solitaria, viene svegliata da incubi di violenze subite e restituite, nel necessario lavoro di indagine (deve scagionarsi da un'accusa di triplice omicidio) stavolta è meno esperta informatica e più macchina da combattimento che tiene ancora in pugno il suo ex assistente sociale/stupratore.

Della protagonista, il film rivela la terribile infanzia di abusi familiari, la prima azione da giustiziera (i cui flashback comparivano già nella pellicola precedente) e il ricovero coatto in clinica psichiatrica. Però, ed è questo il limite principale dell'opera, la rende pressochè indistruttibile, capace di prendersi tre pallottole in corpo, venir seppellita in una buca la notte e risorgere alle luci dell'alba come un morto vivente pronto per la lotta finale. In più, i cattivi diventano una galleria di "freaks", con una banda di nazi-motociclisti, un gigantesco scagnozzo con problemi alle sinapsi nervose per cui non prova dolore, un crudele capo, ex spia, con il volto deformato dalle ustioni. Dentro una scenografia mobile e articolata tra città e campi, senza punti di riferimento fissi, c'è comunque anche una notazione sul coraggio del giornalismo d'inchiesta che, relativamente allo sfruttamento della prostituzione coinvolgente figure istituzionali, sceglie di pubblicare un rischioso servizio senza rivelarne le fonti alla polizia.

La frase: "Lisbeth non sopporta gli uomini che odiano le donne".

Federico Raponi

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