L'alba del pianeta delle scimmie
L’inizio di tutto lo si deve al romanzo "Il pianeta delle scimmie" del francese Pierre Boulle, da cui Franklin J. Schaffner trasse nel 1968 l’omonimo classico della fantascienza su celluloide che, interpretato dal grande Charlton Heston, finì per trasformarsi nel primo tassello di una quintologia durata fino al 1973, oltre a generare due serie televisive – la seconda delle quali animata – appartenenti al biennio 1974-1975.
Non c’è quindi da stupirsi se, in un secolo cinematografico dominato da rifacimenti e reboot come il XXI, non solo Tim Burton ha avuto modo di curare nel 2001 la nuova versione "Planet of the apes - Il pianeta delle scimmie", ma l’inglese Rupert Wyatt – autore del thriller "Prison escape" – ci fornisce i dettagli della genesi scimmiesca partendo dalla figura dello scienziato Will Rodman interpretato da James Franco, il quale, lavorante in una grande società farmaceutica e interessato a sviluppare un virus benigno in grado di ricostruire il tessuto cerebrale danneggiato, intende individuare una cura per il morbo di Alzheimer, da cui è affetto il padre con le fattezze del sempre grande John Lithgow.
Ed è invece l’Andy Serkis che concesse anima e corpo al Gollum della trilogia "Il Signore degli anelli" a conferire in maniera notevole umanità allo scimpanzé protagonista Cesare, esposto alle sperimentazioni quando era ancora nell’utero materno e accudito in casa da Will; fino a diventare quel primate altamente intelligente cui si deve l’alba raccontata dallo script a cura dei produttori Rick Jaffa e Amanda Silver, sceneggiatori, tra l’altro, dell’horror datato 1997 "Relic - L’evoluzione del terrore", diretto da Peter Hyams.
Non a caso, mentre tutt’altro che celato appare l’evidente (sotto)testo animalista, lo spettatore rimane di continuo in tensione, catturato da una vicenda dal sapore eco-vengeance incentrata meno sugli attori in carne e ossa che sulle scimmie splendidamente realizzate in digitale, alcune delle quali capaci perfino d’incutere paura, complici i toni dark dell’ottima fotografia di Andrew Lesnie.
Collaboratore di Peter Jackson, quest’ultimo, come pure i componenti della squadra d’infallibili effettisti della Weta; tanto che viene una gran voglia di interpretare quali branchi di piccoli, distruttivi King Kong quelli che vediamo a passeggio per le strade di San Francisco nella seconda, spettacolare parte di un’operazione tecnicamente impeccabile e costruita su 105 avvincenti minuti di visione.
Capaci di emozionare e caratterizzati da un incalzante ritmo narrativo, proprio come accadeva nelle belle pellicole d’intrattenimento a stelle e strisce sfornate tra gli anni Settanta e Ottanta.
La frase:
"Cesare mostra capacità cognitive che eccedono di gran lunga quelle di un suo omologo umano".
a cura di Francesco Lomuscio
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