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Il cane giallo della Mongolia
Milano - Le sconfinate steppe mongole, un cielo azzurro velato di nubi che sembra non aver fine e soprattutto, non sentire lo scorrere del tempo. In questo scenario immutabile si muovono ancora famiglie nomadi dedite alla pastorizia e alla cura del bestiame in totale coesione con la natura; ed è in questo scenario che Byambasuren Davaa (ricordate la sorpresa all'Oscar de "La storia del cammello che piange"?), ha deciso di ambientare quello che avrebbe dovuto essere un semplice compito per diplomarsi in storia del cinema a Berlino.
A metà esatta tra documentario e finzione, facciamo conoscenza della giovane famiglia Barchuuluun, la seguiamo assieme ad una troupe quasi interamente tedesca sul finire dell'estate, entriamo nelle meccaniche, nei ritmi, nelle loro abitudini per prendere atto di un'altra realtà.
Senza volontà di giudizio se non quella di cronaca, la regista introduce il problema della modernità, del cambiamento che presto o tardi tocca tutti, anche nei luoghi che pensiamo più remoti. Un mestolo di plastica gialla, un peluche fucsia, i primi segni di quello che è il contatto inevitabile tra la cultura cittadina e quella contadina.
Il cane giallo del titolo altri non è che una fiaba mongola, una leggenda, in cui una giovane ragazza guarirà dalla malattia solo dopo aver trovato l'amore e abbandonato il proprio cane.
Qui invece, la più grande delle figlie trova un cane in una grotta decidendo di adottarlo per renderlo il migliore dei propri amici. Ironia della sorte sarà proprio lui a salvare l'equilibrio dell'intera famiglia.
La modernizzazione non è l'unico tema della pellicola, ogni fotogramma è pervaso di una profonda spiritualità, cercata forzatamente o naturale che sia. I riti di ringraziamento alla natura benevola, le statue del Buddha, fino ai problemi della caccia ai lupi. Tutto è intriso d'un incanto naturale in cui un temporale può intrattenere come un concerto e la memoria va preservata ad ogni costo.
Solo in chiusura vediamo allontanarsi la carovana dedita all'ennesimo spostamento e avvicinarsi una macchina, intenta a sponsorizzare le prossime elezioni e l'importanza di partecipare alla vita cittadina.
La frase: "La figlia tornò davvero a stare bene. Il motivo reale però è che si era innamorata di un giovane. E quando il cane giallo non ci fu più, i due poterono incontrarsi liberamente. (La favola del cane giallo)".
Valentina Pieraccini
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