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La doppia ora
Se dovessimo definire "La Doppia Ora", opera prima di Giuseppe Capotondi, potremmo dire che si tratta di un noir che a tratti assume l’aspetto di poliziesco, addentrandosi nei meandri del thriller psicologico, con immagini che richiamano all’horror.
È una grande sfida quella che si ripropone il regista, cercando spunto da vari generi e raccontando una storia ambigua, dove niente è come sembra e nessuno è mai chi realmente dice di essere.
Sonia (Ksenia Rappoport) è una cameriera straniera, che viene da Lubiana e lavora in un albergo di Torino. Un giorno decide di andare ad uno speed date, quel genere di locale dove si cerca l’anima gemella, e li incontra Guido (Filippo Timi), un ex poliziotto con un passato difficile. I due iniziano a parlare, e a trovare l’uno nell’altra uno sfogo per i propri pensieri, una cura per le profonde ferite che la vita ha inferto ad entrambi. Un giorno, per impressionarla, lui la porta alla villa dove lavora come guardiano, e proprio quando tutti i muri tra loro sono crollati, e l’atmosfera diventa calda e romantica ecco che irrompono dei rapinatori. Durante una colluttazione Guido viene ucciso, e Sonia, colpita di striscio, si risveglia in una stanza d’ospedale. La sua vita sembra vuota ora, la presenza di Guido l’aveva in qualche modo dotata di una gioia e voglia di vivere che sembrava aver perduto, e ritrovarsi senza di lui rischia di gettarla in un baratro di solitudine, peggiore di quello in cui stava prima.
Questo l’antefatto, ma durante il film i colpi di scena non mancano, la storia si sviluppa, varia e si modifica come un puzzle senza fine.
Si scoprono nuovi tasselli, ma trovare il punto d’aggancio e riuscire ad ottenere una figura definita è quasi impossibile. Il gioco dell’ora doppia, legato all’ambiguità non solo dei personaggi, ma anche della situazione e degli avvenimenti vissuti, è una sottigliezza narrativa cui non siamo abituati, ma che da comunque quel senso di suspence che ci aspettiamo da un film simile, scandendo gli avvenimenti, come se tutti i desideri potessero realmente realizzarsi quando l’orologio segna ore e minuti uguali.
La scelta dei protagonisti pare azzeccata e Ksenia Rappoport, riesce a dare quell’alone di mistero misto a fragilità che definiscono il personaggio di Sonia, esotica e enigmatica non solo per le origini.
Filippo Timi, si cala bene nel personaggio del bello e dannato mostrando un atteggiamento indurito da una vita triste e segnata da eventi luttuosi che gli danno quel tono affascinante, sfuggente ma allo stesso tempo intrigante, di cui pare innamorarsi Sonia. Punto dolente però sembrano essere gli attori comprimari, che forse calcano un po’ troppo la mano nella caratterizzazione dei loro personaggi, risultando a tratti fastidiosi, è il caso del poliziotto Dante, (Michele di Mauro) che durante i suoi interrogatori ci riporta troppo spesso alla mente Robert de Niro, e non per la potenza interpretativa quanto per la scopiazzatura nei movimenti.
Il ritmo incalzante e la sfuggente rivelazione della realtà rendono il film coinvolgente, anche se si nota una certa mancanza di una protagonista d’eccezione, Torino, luogo d’ambientazione della storia.
Data la sua fama esoterica si sarebbe potuto utilizzarla meglio, e ci spiace non riconoscerla meglio.
Il film è sicuramente interessante, certo, pur con qualche limite, ma nel suo genere potrebbe definirsi quasi un esperimento del Cinema Italiano, che con alcune modifiche e limature può dare degli ottimi risultati.
La frase: "23.23, un ora doppia. È come quando cade una stella: bisogna esprimere un desiderio".
Monica Cabras
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