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La destinazione
Ambientato prevalentemente in una Sardegna di impianto rurale, il film di Piero Sanna (già collaboratore di Ermanno Olmi) narra una storia di tradizioni centenarie che sono praticamente impossibili da estirpare.
Emilio (Roberto Magnani), un ragazzo romagnolo, decide di entrare nell'arma dei carabinieri perché non riesce a trovare lavoro. Nella scuola di addestramento stringe amicizia con Costantino (Toto Mele) proveniente dalla Sardegna. Ed è proprio a questa terra che verrà destinato Emilio. Qui naturalmente si troverà ad affrontare una realtà che non si immaginava neanche lontanamente.
Poteva essere rischioso trattare un argomento riguardante la "benemerita" senza scadere nel retorico o nel celebrativo. Bisogna dire che Piero Sanna è riuscito a scampare questo pericolo con efficacia. Il suo non è un film sull'arma, ma è piuttosto un racconto quasi antropologico (molto bello il corteo dei mamutones). Il regista ci descrive una Sardegna che, in alcune parti, è rimasta intrappolata in una dimensione extratemporale. Tutte le tradizioni religiose, la terra che dà da mangiare, la comunità chiusa in sé stessa sono retaggi che col tempo non sono mai scomparsi. Il film però non dà giudizi di merito su queste tradizioni (anche quelle più brutte come l'omertà), le accetta quasi come fossero segni di un legame con la terra che, negativo o positivo, è inscindibile dalle persone stesse. Nel film, tra l'altro, questa atemporalità è sottolineata da una specie di "rallentamento" del tempo cinematografico.
Come aveva fatto Luchino Visconti cinquantacinque anni fa con "La terra trema", Sanna lascia parlare la gente con la loro lingua. E tra l'altro, come nel film di Visconti, i detentori della "lingua italiana" sono i carabinieri, che hanno anche il pesante lavoro di riportare l'intera comunità ad un presente da ventunesimo secolo (il fatto che ci riescano solo in parte è un altro discorso).
Nel film c'è però anche una forte urgenza di giustizia che non sia quella del taglione o di giudici che non riescono a capire le contraddizioni di una realtà che non gli appartiene. Probabilmente alla fine nessuno "riuscirà" a cambiare niente, per una sorta di "ideale dell'ostrica", così come lo aveva descritto con grande senso della realtà, Giovanni Verga. O forse più realisticamente nessuno "vorrà" (almeno nella comunità rurale) cambiare niente, forse per rivendicare quel filo unico che li tiene legati alla terra, che è sempre lì. Sempre la stessa.
Renato Massaccesi
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