La bottega dei suicidi
Patrice Leconte, regista e sceneggiatore de "La bottega dei suicidi", rifiutò l’offerta di scrivere un adattamento cinematografico dell’omonima opera letteraria di Jean Teulé. Non gli sembrava possibile ricreare quel mondo così insolito, bizzarro con attori in carne e ossa. Attese dunque l’occasione, arrivata dopo quattro anni, di poterne realizzare la versione animata.
La città in cui il film si svolge è scura, triste e le persone che vi abitano hanno totalmente perso la voglia di vivere. La bottega della famiglia Tuvache, specializzata in "prodotti per il suicidio", va per la maggiore tra i cittadini, che accorrono desiderosi di farsi dare un consiglio dai due coniugi su quale sia il metodo più adatto a loro. La signora Lucrece è incinta del terzo figlio, che nasce completamente diverso dal resto della famiglia: il piccolo Alan sorride sempre, corre di qua e di là, diffonde il buonumore. Sarà proprio lui a spingere tutti a cambiare...
L’argomento del malcontento e, in casi estremi, del suicidio ormai tragicamente frequenti all’interno delle cronache a causa della crisi economica e morale, vengono affrontati da Teulé con ironia e "comicità nera". Leconte la riprende totalmente ma non sempre con successo: alcune battute sono davvero esilaranti ma altri sketch risultano ambigui, al limite del cattivo gusto. Il tutto è raccontato da una regia molto buona, decisamente cinematografica: movimenti di macchina, carrellate, zoom avanti e indietro accompagnano le vicende della famiglia protagonista.
"La bottega dei suicidi" è di fatto un musical, pieno di canzoni originali, composte da Florian Thouret, non certo memorabili ma piacevoli da ascoltare. Il lavoro sui colori si dimostra accurato e si può riassumere sostanzialmente nel contrasto tra la città e il negozio dei Tuvache: la prima è scura, grigiastra e tetra, il secondo sfoggia colori brillanti di tutte le cromie e le intensità; il messaggio è chiaro: per gli abitanti della città, la morte è gioia, in quanto unica alternativa ad una vita che ormai non può offrire altro che tristezza.
L’ironia viene spesso surclassata dal fondo di amarezza e dal senso di impotenza che i personaggi vivono e che è tremendamente vicino a quello che viviamo anche noi in questi anni. Per questo il film risulta un po’ ambiguo, soprattutto per spettatori che la crisi (nominata esplicitamente) la stanno vivendo.
La frase:
"Si muore una volta sola, perché non renderla indimenticabile?".
a cura di Fabiola Fortuna
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