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Judge
Alla sua seconda partecipazione al Festival di Venezia, Liu Jie, continua a raccontarci del controverso mondo legale del suo paese.
Tre anni dopo aver vinto il Premio Orizzonti nel 2006 con "Courthouse on Horseback", infatti, il regista cinese torna alla Mostra Internazionale del Cinema, con "Touxi (Judge)", presentato sempre nella stessa sezione.
Il giudice Tian ha da poco perso la figlia in un incidente stradale, e la sua situazione familiare risente profondamente di questo. A lavoro viene chiamato a giudicare Qiu Wu, condannato alla pena di morte per aver commesso il suo secondo furto d’auto. Delle modifiche alla legge, non ancora entrate in vigore potrebbero salvare la vita del ragazzo, che nel frattempo decide di vendere un rene ad un ricco uomo d’affari, Lee, che potrebbe salvargli la vita corrompendo il sistema.
In un paese che tristemente detiene il primato sulle condanne a morte, parlare dell’argomento è sicuramente molto rischioso, ma Liu Jie lo fa in un modo che non esprime denuncia, cercando di entrare nei sentimenti e nel lato umano dei suoi protagonisti.
Il giudice Tian, viene descritto non come un uomo che può decidere della vita e della morte dei detenuti presenti nel suo tribunale, ma più come un impiegato statale ligio al dovere, triste nel suo dolore per il lutto che ha appena distrutto la sua vita e portato la moglie ad un terribile esaurimento nervoso. Tutti i suoi gesti e tutti i suoi atteggiamenti sono più il frutto di un meccanismo quotidiano reso più monotono dalla sua attuale condizione familiare. E non si sente minimamente in colpa quando decide di non posporre l’esecuzione in modo da far usufruire Qiu Wu delle nuove norme, che gli salverebbero la vita, d'altronde lui sta solo seguendo la legge. Dall’altra parte la fierezza dell’uomo condannato, che si smuove solo quando decide di vendere un suo organo per cercare di salvarsi la vita, si discosta dal dolore della sua famiglia nell’apprendere la notizia della condanna. Ed infine lo spirito di sopravvivenza di Lee, che nel film è descritto come un uomo egoista, perché lotta per avere quel rene che potrebbe permettergli di vivere, ma solo se il suo donatore è deceduto.
Tutto questo stride con il nostro pensiero occidentale di trattare questi due delicati argomenti, tanto più per il modo asciutto e freddo con cui vengono espressi nel lungometraggio. Sentire che un uomo può essere condannato a morte solo per aver rubato due auto, e che questo non scuote gli animi delle persone deputate a rendere ufficiale il giudizio, e che in modo totalmente distaccato, come solo la burocrazia sa essere, non cercano di ritardare l’esecuzione per godere di quella legge che li renderebbe più umani, ci fa inorridire.
La caratterizzazione dei personaggi, la manifestazione dei loro sentimenti, (che a noi non sembrano tali), ogni fotogramma sembra talmente "normale", e per il regista sicuramente lo è, che difficilmente riusciamo ad entrare nel mondo che vuole descriverci.
Sia che si parli di pena di morte, di vendita d’organi o di corruzione, Liu Jie lo fa in un modo talmente crudo e palese, senza alcuna enfasi d’accusa, che ci preoccupiamo quasi.
E quando nell’ultima mezz’ora del film vediamo un barlume d’umanità negli occhi del regista, che blocca l’esecuzione rischiando il richiamo da parte dei suoi superiori, ci sentiamo più rilassati e sereni nell’apprendere che forse anche ciò che di negativo c’è al mondo si può sempre recuperare.
La frase: "Esecuzione rimandata, portate il detenuto in prigione".
Monica Cabras
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