Joe
Joe (Nicolas Cage) è un ex-carcerato che vive in un paesino del Texas e gestisce un’attività, non propriamente legale, che consiste nell’avvelenare gli alberi del bosco limitrofo al paese per far spazio così a una nuova vegetazione di pini. Ad interrompere la routine di Joe arriva un ragazzino, Gary, insieme al padre ubriacone, entrambi in cerca di lavoro. E Joe, col passare del tempo, sembra sostituire nella vita del ragazzo la figura del padre, spesso in preda ad atti di violenza e incapace di farsi carico dell’esigenze economiche della famiglia...
Tratto da un romanzo di Larry Brown, "Joe" rappresenta un altro tassello, dopo il bel "Prince Avalanche", dell’escursione di Gordon Green nel cinema indipendente, ma anche del suo discorso sull’America e su una società segnata dalla perdita di certezze. Se nell’altro film i due protagonisti si rifugiano nella natura per scappare da una realtà alla quale non si sentono di appartenere, il contesto in cui agisce Joe è permeato da un clima di sfiducia nelle istituzioni e in qualsiasi forma di aggregazione sociale; l’unico rapporto che sembra potersi costruire è quello intimo, individuale, tra due persone, un rapporto che si basi sull’esigenza condivisa di creare un contatto.
Joe e Gary, infatti, si incontrano in un contesto dove famiglia e polizia sono solo dei concetti vuoti di significato e dove la vendetta privata e l’istinto di sopravvivenza sembrano regnare incontrastati.
Strutturando il suo film come un puzzle ad incastri, in cui ogni personaggio (e la sua vicenda personale) viene raccontato separatamente e poi calato in una trama più complessa, Gordon Green, nella prima parte del film, getta le basi per una storia dai presupposti solidi e originale nella sua tessitura. E’ il dialogo, serrato, ironico, intelligente, la base portante di una pellicola che sembra mescolare con efficacia uno sguardo cinico e dissacrante a venature drammatiche.
Poi, da metà in poi, il film sembra voler imboccare più direzioni e procede per accumulo di toni, situazioni e sviluppi narrativi senza una coerenza di fondo. L’atmosfera si fa più cupa, gli sfoghi di violenza sono più frequenti, e "Joe" incappa in meccanismi narrativi banali, scontati e, in fondo, anche pretenziosi. L’ultima ora di film è segnata da una grande confusione generale e così anche quei rapporti sottili, animati da un fondo di anarchia, che sembravano legare tra loro i personaggi perdono consistenza e credibilità, abbandonando lo spettatore in un clima che vorrebbe essere teso e soffocante, ma risulta solo piatto e privo di stimoli.
E così anche la prova di Nicolas Cage, alla quale Gordon Green sembra applicare un’operazione simile a quella subita da McConaughey in "Killer Joe", si perde in balia di una direzione poco convinta e risulta, in fin dei conti, priva di quella consistenza che avrebbe potuto renderla memorabile.
La frase:
"So che a tenermi vivo è il controllo, solo quello".
a cura di Stefano La Rosa
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