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Io no
La prima ora di questo film è decisamente un'ora trascorsa piacevolmente e non senza un certo divertimento. Il sodalizio artistico - e nella vita - composto da Ricki Tognazzi e Simona Izzo porta sugli schermi un'opera liberamente tratta dal romanzo "Io no" di Lorenzo Licalzi dove si raccontano le vicende familiari e sentimentali di due fratelli: Flavio (Gian Marco Tognazzi) e Francesco (Francesco Venditti). Flavio prosegue l'attività di albergatore del padre, ha una bellissima moglie, Laura (Ines Sastre) e due figli. Francesco, il minore, è invece uno scapestrato, lascia al fratello la conduzione dell'azienda famigliare, vive di notte ed è totalmente incapace di organizzare la propria vita. Tutto questo finché non incontra Elisa (Myriam Catania) presentatagli dalla cognata Laura che da sempre cerca di trovargli una fidanzata. Con Elisa, Francesco ha trovato la donna giusta, quella che riuscirà "a fargli mettere la testa a posto". Fino a questo momento la condivisa regia del duo Izzo-Tognazzi si destreggia con abilità tra le vicende dei due fratelli imprimendo un ritmo brioso alla narrazione: un ritmo da standard jazz proprio come la musica che fa spesso da commento al film. Incentrato sul rapporto conflittuale, ma caratterizzato da un profondo affetto, tra i due fratelli, il film ci propone diverse variazioni sul tema, mischiando i personaggi e gli eventi come carte di un mazzo finché non scopriamo le vere relazioni tra loro ed i perché a certi comportamenti. Il gioco funziona bene anche grazie ad una positiva prova degli attori sufficientemente concentrati ma senza tracimare in atteggiamenti teatrali e poco convincenti. Il gioco funziona, e diverte, finché la storia non prende una piega tragica da soap opera, vista e rivista. Per muoversi nelle impervie strade di morte e ricordi e perdite inaccettabili ci vuole una cifra stilistica che, francamente, i due registi non posseggono. Ed anche gli attori ne risentono quando da un ruolo brillante devono cimentarsi con smorfie di dolore e compatimento. Il film si impantana nelle sabbie mobili di veteri luoghi comuni cinematografici ed irritanti preziosismi stilistici volti unicamente a provocare il pianto e la commozione. Ed è come un droga, una volta iniziato non si riesce più a smettere, tant'è che nell'ultima mezz'ora viene inesorabilmente cancellato tutto quello che di buono abbiamo visto nella prima parte del film. Peccato.
Daniele Sesti
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