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Imbattibile
Certo che se non ci fosse lo sport ad offrire storie su storie all'industria cinematografica statunitense i film d'oltreoceano sarebbero quasi dimezzati. Che sia basket, baseball, hockey, ginnastica artistica, danza o football come nel caso di "L'imbattibile", poca cambia. Storie di uomini o squadre che quando davano tutti perdenti ce la fanno a raggiungere quell'obiettivo che li fa passare dall'altra parte di quella barricata vincenti/perdenti che divide le società statunitensi.
Perché la vittoria sportiva è anche e soprattutto realizzazione personale, giustificazione di tutti i sacrifici sostenuti prima. Solo per citare i lavori d'ambiente football, così alla rinfusa: "Ogni maledetta domenica", "Il sapore della vittoria", "Le riserve", "I mastini del Dallas", "Quella sporca ultima meta" (e il recente remake), "The program", "Varsity blues", "Waterboy", "Il Paradiso può attendere" e "Il Campione". Cambiano alcune variabili, il periodo storico e l'origine del soggetto: vera o inventata? Nel caso di "Imbattibile" è storia realmente accaduta e cioè quella di un trentenne senza lavoro di Philadelphia che prova ad entrare nella squadra della propria città per esordire nella lega professionistica.
Una piccola ricerca della felicità (per descriverla alla Muccino) con sceneggiatura prevedibile come uno svarione di Luca Giurato di prima mattina, che cerca di pompare fino alla canonica ora e mezza una storia che per quanto sia interessante in quanto vera, non regge sulla distanza del lungometraggio. Un problema probabilmente avvertito dagli stessi autori che cercano in tutti i modi di far coincidere il successo del proprio protagonista con quello di una città (Philadelphia) coinvolta nella recessione statunitense del 74-75. Palese è l'intento di rendere tutto epico, a partire dal football e così escono frasi del tipo: "Quel touchdown mi fece sperare 30 anni". Nulla toglie comunque al fatto che ci si possa emozionare (quantomeno nel finale) o ad aspetti tecnici come la rappresentazione visiva dell'epoca: fotografia, costumi e scenografie sono curate e funzionali al racconto. Regia convenzionale di un esordiente fino ad oggi direttore della fotografia (che cura lui stesso anche qui). Bella presenza scenica per Marc Wahlberg, e semplice timbro del cartellino per Greg Kinnear.
La frase:
- Il mio fidanzato non era quel che diceva di essere...
- E cosa?
- Single
Andrea D'Addio
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