In un posto bellissimo
Lucia (Isabella Ragonese) è una donna semplice con un trauma adolescenziale alle spalle che non è mai davvero riuscita a superare.
Sposata con il freddo e risoluto Andrea (Alessio Boni), negli anni ha sempre lasciato al marito la responsabilità di decidere cosa sia giusto fare in ogni situazione, dedicandosi quasi esclusivamente al figlio e al negozio di fiori in centro di cui è proprietaria insieme a un'amica.
La sua vita scorre quindi tranquilla, anche se un po' monotona, fino a quando la scoperta di una storia extraconiugale tra il marito e una collega di lavoro riesce a far traballare il castello di carte su cui Lucia ha costruito tutto il suo precario equilibrio.
Complice l'incontro con Feysal, un ragazzo straniero che vende oggetti per strada, la donna inizia a cambiare e, un passo alla volta, rientra in contatto con se stessa, trovando infine la forza di dare una svolta alla sua vita.
A cinque anni dall'esordio (con tanto di passaggio al Festival di Venezia) Il primo incarico, Giorgia Cecere torna a raccontare l'universo femminile e ritrova, per l'occasione, Isabella Ragonese nel ruolo di protagonista.
Le speranze di quanti dovessero accostarsi al film sperando di trovarvi un ritratto di donna sincero e meno stereotipo rispetto alla media sono però destinate a soccombere di fronte a un guazzabuglio di situazioni scontate in cui la donna finisce per essere la prima, se non l'unica, ad uscire sconfitta.
Non c'è nulla infatti in questo film che assomigli, anche solo vagamente, alla vita reale né che rifletta in alcun modo ciò che una donna farebbe nel 2015 di fronte a una situazione simile a quella narrata.
Non un dialogo, non un solo gesto.
Il modo in cui Lucia procede a capo chino, pur di fronte ai continui e ripetuti segnali che il marito abbia una tresca (perfino la protagonista di un qualsiasi film di Von Trier se ne accorgerebbe durante i primi dieci minuti di film) per poi reagire all'evidenza continuando a non proferire parola sull'argomento, non è semplicemente inverosimile, ma addirittura offensivo per l'immagine del 'gentil sesso' che restituisce allo spettatore.
Ora, In un posto bellissimo è scritto e diretto da una donna, ma è divertente immaginare il tipo di reazione che potrebbe generare un film del genere qualora fosse il frutto di una mano maschile.
Per quanto non è che gli uomini che accompagnano la protagonista nel suo noiosissimo calvario se la passino poi molto meglio.
Il marito Andrea è semplicemente l'uomo più antipatico che si riesca a immaginare (la naturale propensione all'antipatia di Alessio Boni aiuta non poco la riuscita del personaggio) e Feysal, l'ambulante che dovrebbe aiutare Lucia a riappropriarsi della sua dimensione più intima, una semplice figurina di contorno che incarna tutti i peggiori stereotipi sugli extracomunitari, talmente poco utile all'economia della storia che, quando sparisce senza lasciar traccia di sé, non viene neanche da chiedersi che fine abbia fatto.
Completa il parterre maschile un patetico insegnante di guida (nel film l'emancipazione della donna ha il suo culmine con la decisione di Lucia di prendere la patente) interpretato da uno spaesato Paolo Sassanelli che continua imperterrito a provarci con la protagonista, del tutto incurante degli eloquenti rifiuti di quest'ultima.
Ma non è solo la caratterizzazione dei singoli personaggi a essere fuori fuoco.
La sceneggiatura in toto è infatti una sequela interminabile di tutti gli errori che il cinema italiano dovrebbe guardarsi bene dal fare, con parentesi aperte di continuo e mai del tutto chiuse.
La regia tutta primi piani insistiti di una Ragonese attonita fino a rasentare la catatonia, ça va sans dire, non è da meno.
E' la fiera dell'intimismo un tanto al chilo, con gente che guarda nel vuoto e si chiede di continuo "come stai?" quasi senza aspettarsi neanche che a quella domanda segua davvero una risposta.
Ci abbiamo girato un po' attorno ma in definitiva è importante intenderci su una cosa: In un posto bellissimo è, senza timore di smentita, il film più brutto dell'anno.
Uno di quelli alla fine dei quali ti chiedi chi possa aver investito dei soldi perché venisse portato a termine.
Raramente poi un film ha avuto in dote un titolo dalla valenza più ossimorica.
Per dire di quanto la sala cinematografica, in quell'ora e mezza, riesca a trasformarsi in un posto per niente piacevole, figurarsi bellissimo.
La frase:
- "Che c'è?" - "Niente".
a cura di Fabio Giusti
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