Heart of the sea - Le origini di Moby Dick
In molti, magari, si aspettano l’ennesima trasposizione cinematografica del romanzo “Moby Dick” che, scritto nel 1851 da Herman Melville e considerato un capolavoro della letteratura americana della cosiddetta American Renaissance, è stato fonte d’ispirazione per non pochi cineasti; da Lloyd Bacon (“Moby Dick, il mostro bianco”) all’asylumiano Trey Stokes (“2010: Moby Dick”), passando per i maestri della Settima arte John Huston (“Moby Dick – La balena bianca”) e Michael Curtiz (“Moby Dick, il mostro del mare”).
Ma, come il titolo stesso lascia intuire, il secondo lavoro del premio Oscar Ron Howard interpretato da Chris Hemsworth – dopo l’ottimo “Rush” – va ad esplorare addirittura i retroscena del popolare testo, in quanto, partendo dal best-seller “Nel cuore dell’oceano – il naufragio della baleniera Essex” di Nathaniel Philbrick, pone il Ben Whishaw di “Spectre” nei panni del citato Melville che, a metà XIX secolo, interroga Thomas Nickerson alias Brendan Gleeson sul drammatico viaggio cui prese parte circa trent’anni prima a bordo dell’imbarcazione attaccata dal gigantesco cetaceo.
Viaggio effettuato insieme all’inesperto capitano George Pollard, al secondo ufficiale Matthew Joy e al veterano primo ufficiale Owen Chase, i quali, rispettivamente incarnati dal Benjamin Walker de “La leggenda del cacciatore di vampiri”, il Cillian Murphy di “28 giorni dopo” e, appunto, Hemsworth, finiscono con lui per dover affrontare non solo i maestosi mari in tempesta e l’imponente mammifero d’acqua dalle dimensioni e la forza elefantiache, ma anche la lotta di sopravvivenza per sconfiggere la fame.
Nel corso di due ore di visione che l’autore di “A beautiful mind” e “Frost/Nixon – Il duello” inscena privilegiando una prima parte maggiormente incentrata sul movimento e sul lato avventuroso della vicenda richiamando quasi alla memoria “Master and commander – Sfida ai confini del mare” di Peter Weir, per poi passare ad una altamente drammatica seconda mirata a tirare in ballo le drammatiche conseguenze di un naufragio proto-Robinson Crusoe.
Drammatiche conseguenze che, ovviamente, non mancano di provocare qualche vittima; man mano che l’ottimo trucco provvede a mutare in maniera drastica i connotati dei protagonisti e che non risultano assenti neppure momenti piuttosto crudi, pur non mostrando quasi nulla di altamente esplicito.
E, premettendo che non possiamo parlare di opera particolarmente memorabile ma, comunque, di prodotto al di sopra della media dal più o meno vago sapore di James Cameron, in mezzo a lodevoli performance sfoderate dagli attori ed eccellenti effetti digitali è impossibile non avvertire – in qualità di maggiore pregio del tutt’altro che noioso elaborato – il forte retrogusto socio-politico testimoniato da un’umanità che, costretta a combattere contro la natura e contro sé stessa, si ritrova allegoricamente anteposta alle fonti di ricchezza (compresa la stessa balena) e alla menzogna che è, da sempre, tra i maggiori sostenitori di quest’ultima.
La frase:
"Tutte le direzioni sembravano identiche".
a cura di Francesco Lomuscio
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