I Nove
Nove, perché i tre episodi che compongono il film possono contenerne altrettanti. Come la realtà, che è a più livelli. Oppure perché il 9 capovolto diventa un 6. La frase di lancio ("Y9u never kn9w when y9ur number is up") mescola - per similitudine - i numeri con l'alfabeto e la butta sull'inconoscibilità del destino, o caso che dir si voglia. Per essere più esplicito (?), il regista-sceneggiatore John August fa interpretare le parti che compongono l'opera ad altrettanti attori, sempre gli stessi ma diversamente conciati nei panni di personaggi differenti. E, a tentare di tenere legato l'insieme, all'inizio compare un braccialetto da polso che sembra fatto di fibre vegetali. Fragili quel tanto che basta a durare 99 minuti, per poi rompersi e disperdere il tutto.
I titoli e la materia delle diverse parti evocano un percorso artistico d'autore, tirato da un lato dalla libertà delle visioni, dall'altro dalle costrizioni dello "show business". In "the Prisoner" infatti il protagonista non si attiene alle regole - cioè una prigionìa imposta dalla produttrice - e di conseguenza la pellicola che lo contiene brucia, e lui sparisce insieme ad essa. Già qui cominciano le allucinazioni, con incursioni di persone presenti negli altri capitoli (sono gli effetti del crack, certo, ma non ce la caviamo così semplicemente e con raziocinio). In un caleidoscopio di inserti musical, strambi incontri, sensitività (c'è chi vede attraverso vetri specchiati), salti temporali, si arriva all'epilogo "Knowing": la vita è multidimensionalità, e sospesi sopra le teste abbiamo prismi luminosi tramite cui ci spostarci di mondo in mondo. Sceneggiatore degli ultimi tre film di Tim Burton, con "the Nines" August dirige per la prima volta un lungometraggio, piccolo rompicapo che dà l'impressione di sfuggire allo stesso prestigiatore, non mantiene sempre lo stesso tenore, traccia incroci con vicoli ciechi e forse perde per strada qualche passaggio per lo spettatore.

La frase: "è un sogno, sono in coma o già morto?".

Federico Raponi

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