Inju, la Bête dans l’ombre
Anche se esistono delle traduzioni in italiano, non è molto noto al grande pubblico lo scrittore giapponese Ranpo Edogawa (1894-1965), autore di romanzi gialli molto popolari in patria, che hanno già visto una lunga serie di adattamenti cinematografici. Barbet Schroeder riprende in questa pellicola Inju, un romanzo del 1928, modificandolo secondo il gusto attuale e inserendo qualche piccola modifica per aumentarne l'appeal.
Così il protagonista da scrittore giapponese diventa autore francese, e dietro al mistero di questa oscura vicenda fatta di passione e sangue si cela un romanziere giallo giapponese tanto sfuggente quanto inquietante: si bea della oscura degradazione dei suoi racconti e nessuno sembra averlo mai visto: è lui la bestia nell'ombra, Shundei Oe, il prolifico ed immaginario autore di una serie di gialli popolarissime in Giappone, quasi un alter ego deviato e sinistro dello stesso Ranpo Edogawa.
Anche se il film non è privo di difetti (alcuni stratagemmi del romanzo originale risultano irrimediabilmente datati), Barbet Schroeder costruisce un film di atmosfera, che pur essendo ambientato ai nostri giorni, non si libera del sapore di un Giappone perso in messe in scene tradizionali che non esistono più o sono relegate ad ambienti elitari di vecchi nostalgici. Gli elementi ci sono tutti: cerimonie del te, belle geishe, industriali legati alla Yakuza ed ambientazioni da anni '20 (i grattacieli moderni sono brevemente evocati, ma sembrano quasi sparire di fronte alle fatiscenti casette di una volta).
Schroeder in questo film non si accontenta di realizzare un film ambientato in Giappone: piuttosto vuole realizzare un film a tutti gli effetti "giapponese", nella resa dell'inquadratura, dei colori e persino nella grana della pellicola. Tutto sembra evocare un cinema giapponese di cui Schroeder sembra essere dichiaratamente ammiratore, fatto di violenza, perversione, giochi di specchi e modalità narrative deviate. Al centro della rete una bella e misteriosa Geisha, Tamao, intepretata dalla conturbante Minamoto Lika. Ci sono dunque tutti gli elementi del classico noir, e per rendere più evidente questa commistione, il regista accosta ad atmosfere nipponiche, impressioni musicali tipiche di questo genere eminentemente occidentale. Anche se il finale è chiaramente annunciato e francamente troppo spiegato, in ultima analisi questo è un aspetto secondario di un film sensuale, inquietante quando basta, certamente esotico e senza dubbio insolito e interessante.
La frase: "Tutti in Giappone conoscono il mio nome".
Mauro Corso
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