Il venditore di medicine
Cronaca di un fatto quotidiano, di una brutale corruzione ai danni della società, un dramma che sfocia in una sorta di thriller psicologico e distruttivo, dove nulla si salva. E’ una condanna di quella che ormai è una “normalità” sociale, perché chiamarla consuetudine è forse troppo riduttivo, implicando una prassi ormai accettata da tutti, data quasi per scontata.
“Il venditore di medicine” è un’opera di denuncia da parte del regista Antonio Morabito, che insieme agli sceneggiatori Michele Pellegrini e Amedeo Pagani, mostra una corruzione ormai dilagante non solo in Italia, ma in tutto il mondo, fatta di regalini, ricatti e concussione. Il tutto rappresentato attraverso gli occhi dell’omino in giacca e cravatta che va di studio medico in studio medico cercando di “piazzare” i prodotti della sua azienda farmaceutica. E’ un uomo qualunque che tutti i giorni compie quello che per lui è ormai un rito, un’abitudine consolidata, ma lui alla fine seppur esecrabile è solo un ulteriore vittima di questo sistema malato.
Con lentezza e lucidità, con un ritmo che va in crescendo, lo spettatore segue la quotidianità di questo omino in giacca e cravatta e una valigetta di pelle sempre con sé cui si aggrappa come fosse la sua vita. E’ Bruno, interpretato da un eccellente Claudio Santamaria, che ormai più che trentenne lavora come informatore medico presso l’azienda farmaceutica Zafer, che al momento è in piena crisi economica così come tutto il mercato farmaceutico. I tagli del personale sono all’ordine del giorno e la pressione è costante, tanto che Bruno, così come gli altri informatori, è tenuto sempre d’occhio dal suo capo area, cui presta la voce e il corpo una convincente Isabella Ferrari, anch’essa vittima del sistema. Per conservare il lavoro, che si va sgretolando fra le dita, Bruno cerca di conquistare la fiducia dei medici attraverso regalini, favori, cene e convention fittizie. In sostanza non esita ad applicare il “comparaggio”, la pratica illegale tra industrie farmaceutiche e medici/farmacisti che prevede la prescrizione di determinati farmaci in cambio di regali.
La tensione sale sempre di più, il nostro protagonista è combattuto e agitato dal senso di ansia per il lavoro ormai precario e dal disagio latente causato dal dover fare cose chiaramente illecite, tutti questi elementi sembrano minare irreparabilmente la sua anima e il suo corpo. Il suo mondo sta franando e anche la famiglia che ormai non è più un porto sicuro, perché sua moglie ha deciso di avere un bambino nonostante sappia che lui non ne è felice. Bruno non riesce a imporsi, non riesce a dare un taglio deciso e continua come una barca in preda alla tempesta a cercare di trarsi in salvo da questa situazione superando addirittura il limite fra lavoro e famiglia. Ormai ingannare è come una sua seconda pelle e la disperazione è il suo alimento quotidiano, a nulla servono i farmaci per obnubilare la sua coscienza e calmare il suo cuore e quando in pochi attimi perde ciò che gli è più caro, l’ingranaggio si rompe, anzi l’uomo.
“Il venditore di medicine”, sebbene sia una storia inventata, è quanto mai realistica, tutto o quasi si svolge dentro luoghi chiusi e angusti, quasi spogli, solo la casa del protagonista sembra essere caratterizzata da elementi decorativi. Con elementi essenziali Antonio Morabito descrive e denuncia un abuso quotidiano, fatti di cronache reali, come attestano i filmati iniziali ripresi dai telegiornali italiani, francesi e svizzeri.
Dietro pareti bianche e asettiche si nasconde il nido di pericolosi e viscidi animali che infestano la società e la distruggono incapaci di provare rimorsi o emozioni, è questo il grido silenzioso di “Il venditore di medicine”.
La frase:
"In un Paese Civile non ci sono malati, ma solo pazienti".
a cura di Federica Di Bartolo
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