Il quaderno della spesa
Lucca, fine Ottocento. Il prof. Augusto Pavinato (Gabriele Lavia - Ricordati di me), ha raggiunto il successo con la pubblicazione di un romanzo. Rispettato e riverito da amici e conoscenti, passa le sue giornate fra inviti a pranzi e colte letture. Tutti aspettano il suo prossimo romanzo, che però stenta ad arrivare. Un giorno il professore è invitato a pranzo dalla contessa Celi Sanguineti (Laura Betti - Gli Astronomi) dove gusta delle pietanze talmente deliziose da voler conoscere la cuoca. Quest'ultima, Antonia (Emanuela Muni) nonostante sia la figlia di una contadina, è una donna colta e intelligente, abile non solo ai fornelli, ma anche con la penna. Infatti, di nascosto da tutti, sul suo quaderno della spesa, al posto delle ricette trascrive in forma romanzata tutto ciò che le accade intorno. In seguito alla morte della contessa, Antonia viene assunta proprio dal professor Pavinato, che in breve tempo non può più farne a meno, sia in cucina che in camera da letto. Dopo un breve ed idilliaco periodo, le cose si mettono male. L'editore si rifiuta di pubblicare la nuova opera di Pavinato, e per la coppia si ritrova a dover fronteggiare una grossa crisi economica. Per sopperire alle tante spese, Antonia decide di lavorare come cuoca in un rinomato ristorante, ma i soldi non sono mai sufficienti. L'unica via di scampo gliela propone l'editore del marito, che vorrebbe pubblicare il quaderno della spesa di Antonia. Lei è disperata, ma pur di evitare un dispiacere ad Augusto rifiuta. Quest'ultimo però scopre la verità, e non riuscendo sopportare il proprio fallimento si uccide. Antonia, per una questione di principio continua a rifiutare la proposta dell'editore, ma quando scopre che questi ne ha fatto una copia e l'ha pubblicata a proprio nome, non esita a vendicarsi.
In questa sua ultima opera, Tonino Cervi ha ripreso molti temi che gli sono sempre stati cari: i film in costume (vedi L'avaro e Il malato immaginario), il tema della coppia e dell'emancipazione femminile (vedi Chi dice donna dice donna), le atmosfere decadenti (vedi Ritratto di borghesia in nero). Il risultato non è particolarmente apprezzabile, l'aria che si respira è troppo affettata, troppo ricostruita, troppo immobile. Potrei addirittura affermare che questo è un film anacronistico. Non mi riferisco solo all'ambientazione, ma a tutta la storia che viene raccontata. Non si sente la necessità di una simile sceneggiatura, non la si può rapportare a esperienze odierne, non se ne capisce bene il fine. Il fine è quello di condannare il ruolo subalterno occupato dalle donne in quell'epoca? E allora perché la protagonista resta sempre in silenzio quando si parla di letteratura e di arte, nonostante abbia letto forse più romanzi del marito? Forse si vorrebbe rappresentare il pathos che pervade l'artista mentre lavora alle sue opere? Non mi sembra che il protagonista fosse tanto interessato a scrivere: le uniche attività cui dedica gran parte delle giornate sono il bere, il mangiare e il sedurre in ogni momento e luogo la povera cuoca. Ritengo il film fintamente morboso, a tratti grottesco, spesso esagerato. Non ho apprezzato quell'atmosfera simil-teatrale che pervadeva il tutto: trucco smodato, pettinature troppo vaporose, gestualità marcata. Ancora un altro esperimento di commistione cinema-teatro mal riuscito. Peccato, con un simile cast e con uno sceneggiatore come Rodolfo Sonego, il risultato cui aspirare poteva essere decisamente migliore.
Teresa Lavanga
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