Il passato è una terra straniera
Il prolungamento dell’adolescenza dovuto alle difficoltà economiche, all’accondiscendenza e al protezionismo dei genitori imprigiona i giovani in un’eternità alla "Dorian Gray" in cui, non potendo evolvere, si accartocciano su sè stessi. E, in tempi di crisi sociale e guerra permanente, le conseguenti incertezze e frustrazioni provocano perdita di prospettiva di un futuro e quindi di progettualità. Ciò spinge, una volta venuti meno gli inibitori freni morali, alla violenza diffusa (che vede le donne tra le prime vittime, fuori come dentro le mura domestiche), all’attrazione per tutto ciò che è pericoloso ed estremo, all’egoistica volontà di emergere e alla ricerca forsennata del piacere di facile consumo.
Su sceneggiatura a quattro mani con il ruolo primario di Gianrico Carofiglio, autore dell’omonimo romanzo di riferimento, quella del regista Daniele Vicari - al terzo lungometraggio di finzione – è un’analisi psico-sociologica che spazia tra il film di genere e il romanzo di formazione. Una Bari notturna di cocaina, bordelli, malavitosi che riscuotono crediti, fa da sfondo a tavoli da gioco interclassisti tra yacht, sale d’azzardo e appartamenti, e la struttura drammaturgica in crescendo – con ben rese, intense ed efficaci scene di sdoppiamento e stupro – è costruita intorno alle interpretazioni di rilievo di Elio Germano (Giorgio) e Michele Riondino (Francesco), al suo primo ruolo importante. Un continuo frusciare di banconote, taccuini che segnano debiti, assegni scoperti: è il denaro il motore dell’azione, mentre Giorgio al confuso risveglio mattutino ha già rimosso le nefandezze commesse la notte, vivendo così in un ininterrotto presente ("il passato è una terra straniera", appunto) straniato dalla giusta, disturbante musica di Teho Teardo. Ma il non visto e non detto fanno perdere quota alla storia, e la cinepresa – a differenza dell’umanità di "Velocità massima", David di Donatello come opera d’esordio che di Vicàri continuiamo a preferire – si mantiene distaccata.
La frase: "Questa è gente seria: magari ti spara, ma non ti fotte".
Federico Raponi
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