Il compagno americano
Una panoramica, scanzonata e a tratti grottesca, sullo scenario cinematografico italiano degli anni del regime.
Nel giugno del 1940 un emissario del partito comunista francese, Muffa (Hugh O'Connor- Chocolat) parte clandestinamente per l'Italia. Egli è convinto che il suo scopo sia quello di smuovere la popolazione italica contro il fascismo, ma in realtà è solo un'esca per sviare l'attenzione da un compagno moscovita che dovrebbe riorganizzare le fila del partito. Muffa viaggerà con passaporto irlandese e sotto le mentite spoglie di Mr. Hogan.
Arrivato in Italia, per una serie di equivoci, si ritrova a Cinecittà, dove viene scambiato per un tecnico della Technicolor, addetto alla pellicola a colore che verrà utilizzata dal famoso regista, Camillo Mainardi (Giulio Base- Il macellaio) per girare il primo film a colori della storia italiana. Ma sul set la situazione ben presto precipita: Mr Hogan si rifiuta di parlare, la diva di turno, Liliane Grey (Nancy Brilli- Febbre da cavallo 2-La mandrakata) fa più bizze del solito, e il produttore si disinteressa del progetto dedicandosi solo a cannoli e caffè. Un giorno però, qualcuno ruba la valigia dell'"uomo del colore" e ne svela a tutta la troupe il contenuto straordinario: una bandiera rossa e un volantino di propaganda che viene però cambiato per il "manifesto" della nuova cinematografia. Il foglietto parla chiaro, bisogna che "la rivoluzione" inizi dalle fabbriche, dalle officine, dai lavoratori e dai contadini.
Mainardi, convinto che si tratti di una direttiva della Technicolor, abbandona i fastosi e finti teatri di posa e si avventura nelle campagne alla ricerca della verità. Il regime però boicotta il progetto, e fra sotterfugi, incomprensioni e colpi di scena, l'imbalsamato regista e la maliarda diva, quasi a loro insaputa, realizzano il primo lungometraggio del neorealismo italiano... Si parte dal cinema dei telefoni bianchi, fatto di location palesemente finte, di dive supertruccate oche e arriviste, di registi cinici e opportunisti per arrivare ad un cinema "innovativo", in cui cambiano non solo le scenografie, la fotografia ed i colori, ma anche e soprattutto i temi affrontati; un salto di qualità di non poco conto che però nella realtà si verificherà solo qualche anno dopo la caduta del regime.
Il registro narrativo è semplice, si basa soprattutto su battute e fraintendimenti, la scenografia molto curata, i vestiti spesso originali dell'epoca, le musiche appropriate ed i termini utilizzati tipici del periodo. In alcuni punti però sfugge qualche "Lei" al posto del "Voi" e qualche battuta antifascista, decisamente impensabile per l'epoca. La virata sul grottesco e la forzatura di alcune situazioni, appesantiscono troppo il film che, in più punti, lascia lo spettatore con l'amaro in bocca.
Il risultato sarebbe potuto essere davvero divertente, ma ci si perde troppo di frequente in elucubrazioni scontate e macchiettistiche.
Da segnalare invece, la presenza di un filmato inedito che è stato ritrovato negli archivi dell'Istituto Luce e che ritrae per la prima volta il Duce e Starace a colori.

Teresa Lavanga

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