Il comandante e la cicogna
Alba Rohrwacher veste i panni di Diana, artista sognatrice e squattrinata che fatica a pagare l’affitto ad Amanzio alias Giuseppe Battiston, originale moralizzatore urbano che ha lasciato il lavoro per un nuovo stile di vita.
Valerio Mastandrea, invece, concede anima e corpo all’idraulico napoletano Leo, diviso tra il lavoro con l’aiutante cinese Fiorenzo, interpretato da Yang Shi, e l’impresa di crescere i due figli adolescenti Elia e Maddalena, ovvero Luca Dirodi e Serena Pinto; mentre la stravagante e affettuosa moglie Teresa, con le fattezze di Claudia Gerini, compare e scompare in continuazione all’interno della sua casa.
Principalmente, sono questi i personaggi su cui il milanese classe 1958 Silvio Soldini – regista di "Pane e tulipani" (2000) e "Giorni e nuvole" (2007) – costruisce la quasi ora e cinquanta di visione; destinata a far incontrare Leo e Diana nello studio dello strafottente e truffaldino avvocato Malaffano incarnato da Luca Zingaretti, dove lui si reca dopo che un video hard di Maddalena è finito su internet e lei si trova per affrescare una parete, e a far nascere una amicizia tra Amanzio ed Elia, il quale insegue il volo della cicogna del titolo.
Cicogna che vuole essere il simbolo di rinascita e occasione di un nuovo inizio in un’Italia alla deriva su cui, con la voce di Pierfrancesco Favino, pesa lo sguardo severo di una statua di Giuseppe Garibaldi, il comandante, insieme a quello di Giacomo Leopardi e Leonardo Da Vinci, entrambi doppiati da Neri Marcorè.
Quindi, chi lo ha detto che nello stivale tricolore d’inizio XXI secolo il cinema trash non si fa più? Magari, mancano all’appello lungometraggi come "Arrapaho" (1984) di Ciro Ippolito o "Una vacanza bestiale" (1981) di Carlo Vanzina, talmente folli e surreali – in fatto di soggetti e risvolti – da essere stati capaci di trasformarsi in cult dell’assurdo su celluloide; ma, considerando che l’ormai abusato aggettivo anglofono non significhi altro che "spazzatura", probabilmente non esiste nulla che riesca a superare il livello trash raggiunto da pellicole nostrane nel momento in cui effettuano l’infelice decisione di fare riferimento a modelli colti per riciclarne le idee in contesti poco appropriati.
Perché Soldini – che si concede anche una fugace apparizione hitchcockiana – si è qui dichiaratamente rifatto a "Jonas che avrà 20 anni nel 2000" (1976) di Alain Tanner, nel quale una statua di Jean-Jacques Rousseau recitava un brano del Contratto sociale; ottenendo, però, solamente risultati tanto ridicoli quanto legati in maniera fastidiosa a quel presuntuoso desiderio – tipico dei cineasti nostrani non amanti del "genere" – di ricavarsi l’appellativo di "autore acculturato".
Cineasti che, paradossalmente, quasi mai si mostrano capaci di saper raccontare su celluloide la classe lavoratrice nostrana, limitandosi al massimo – come in questo caso – a tirare banalmente in ballo vaghi richiami berlusconiani al fine di descrivere il Bel paese dei corrotti e sprecando il nutrito cast tra inadeguati momenti da sitcom d’oltreoceano, ironia proto-radical chic, noia imperante e, di conseguenza, assenza di divertimento.
Chissà cosa ne penserebbe la statua di un Vittorio De Sica o di un Dino Risi...
La frase:
- "Tu hai mai lavorato?"
- "Ho smesso nove anni fa, colpo di fortuna".
a cura di Francesco Lomuscio
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