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Hates - House at the End of the Street











Drammatiche vicende di sequestri di persona a scorrere in una pellicola che potrebbe lanciare una nuova saga horror. E’ “Hates”, diretto da Mark Tonderai. Soffre di una parte centrale un po’ tirata via, ma complice anche le fattezze della bella Jennifer Lawrence, protagonista prima di “Hunger Games” e poi de “Il lato positivo”, si lascia vedere senza troppe pretese.
Madre e figlia si trasferiscono in una casa in mezzo a una boscaglia. Isolate dal resto della comunità, ci scherzano su: del resto l’affitto è molto meno caro che altrove e poco importa se la casa abbandonata che vedono dalla finestra è stato teatro in passato di un efferato fatto di sangue. Manco a dirlo, si ricrederanno...
“Hates” è un teen – thriller non troppo convinto di ciò che sta mostrando. C’è la bella teenager che attira tutti con il suo fare da infermiera. La madre, infermiera per davvero, è però apprensiva e sembra voglia tarparle le ali. Poi arriva un bel tenebroso dall’oscuro passato e le cose si complicano. Intorno a loro, una comunità ignara e abbastanza ignava. Poteva essere un nuovo mito horror tra gli adolescenti, invece “Hates” non acchiappa. Colpi di scena telefonati, personaggi senza spessore, e poi l’assenza (piuttosto disarmante) di vere scene di sangue o momenti di vera tensione. Elementare Watson dunque manca la cattiveria (dei personaggi, ma anche degli attori). Manca lo sguardo (quello della telecamera) un po’ malato e insinuante di certe pellicole horror indipendenti. Diciamolo senza offendere nessuno: manca la sostanza. Tutto fila liscio senza sporcare e senza sporcarsi. Un thriller che sembra guardare indietro, a certe pellicole di primi anni Novanta, invece che guardare oltre, all’oggi e al domani. Malgrado, e questo si diceva all’inizio della recensione, il tema tutto contemporaneo dei sequestri di giovani e belle ragazze, rinchiuse per anni in scantinati. Viene in mente la storia di Natascha Kampusch. Oppure il sequestro delle tre ragazze ritrovate dopo dieci anni in una casa nel Cleveland. Lì l’orrore è rappresentato dalla perdita di una parte della propria esistenza. In “Hates” invece l’orrore ha le fattezze di un ragazzino con turbe psichiche poco credibili. Nel finale il regista trova il tempo di lanciarsi in un improbabile richiamo a Norman Bates di “Psycho”. Per favore, passiamo a parlare di altro.

La frase:
"Se tu sei stata una puttana al liceo non è detto che debba esserlo anche io!".

a cura di Diego Altobelli

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