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Gli infedeli











Sulla carta erano una trentina di piccoli film, poi, effettuata una selezione, si è ridotto il tutto ai circa 109 minuti di visione che, nel corso del prologo firmato dal Fred Cavayé autore del thriller "Anything for her" (2008), pongono in scena il Gilles Lellouche di "Piccole bugie tra amici" (2010) e Jean Dujardin – vincitore nel premio Oscar per "The artist" (2011) – nei panni di due fedifraghi sciupafemmine presi anche grottescamente a dialogare durante la copula con due biondine. Prologo che, oltre a collegarsi al segmento finale della pellicola, ambientato a Las Vegas e diretto proprio dai due protagonisti, anticipa i titoli di testa – dal sapore quasi anni Sessanta – di un’operazione volta ad affrontare con ironia l’infedeltà maschile e le sue inclinazioni attraverso la visione di sette cineasti.
Infatti, al di là dell’Eric Lartigau responsabile di "Pistole nude" (2003) impegnato a raccontare il rapporto tra un quarantenne e una delle tante giovani spensierate abituate a prendersi gioco di tutti, abbiamo proprio il Michel Hazanavicious conquistatosi l’ambita statuetta hollywoodiana con il succitato lungometraggio muto interpretato da Dujardin al timone della vicenda in cui un perdente non riesce nell’impresa di cornificare la moglie.
Mentre la Emmanuelle Bercot regista del chiacchierato "Student services" (2010) riserva forse l’episodio più fiacco, incentrato su un marito che confessa il tradimento alla compagna, e Alexandre Courtès non solo cura quello più divertente, destinato a radunare un po’ tutti gli elementi del cast – tra cui Guillaume Canet e Manu Payet – a mo’ di "infedeli anonimi", ma anche tre brevi sketch oscillanti tra i ritmi delle vecchie comiche ("Thibault") e l’umorismo da caserma ("Bernard" e "Simon").
Del resto, con un’ultima sequenza posta nei titoli di coda, chi si aspetta l’ennesima raffinata commedia d’oltralpe (considerando anche i nomi coinvolti) rischia non poco di rimanere deluso; in quanto, tra equivoci, nudi femminili (e non solo) e situazioni oscene, il tenore generale non sembra affatto distaccarsi da quello di un qualsiasi prodotto popolare, nostrano od a stelle e strisce che sia.
Ma, più che dalle parti de "I mostri" (1963) di Dino Risi, non siamo molto distanti da quelle di discutibili barzelletta-movie del calibro di "Arrapaho" (1984) di Ciro Ippolito e "Il film più pazzo del mondo" (1977) di I. Robert Levy.
E non si ride neanche più di tanto.

La frase:
"Non c’è nessuna coppia che sia fedele per dieci anni, è lunga arrivare a dieci anni".

a cura di Francesco Lomuscio

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