Giorgio/Giorgia (storia di una voce)
Forse una delle soubrette più eccitanti ed eclettiche dell’avantspettacolo tra gli anni ’50 e ‘70, una trasformista pura, nobiltà da palcoscenico, voce irraggiungibile: tutto questo è stata Giorgia O’Brien.
Nata uomo (Giorgio Montano il suo vero nome), diventata donna a tutti gli effetti dopo un’operazione a Casablanca, l’attrice nata a Palermo, e scomparsa nell’agosto del 2004, è stata l’esempio lampante di quel talento innato che solo pochi artisti sono riusciti a vantare.
Il regista emiliano Gianfranco Mingozzi (in passato anche assistente di Federico Fellini e René Clément) che l’ha conosciuta e diretta nel suo ultimo lavoro Tobia al caffè, capisce che è ora di farla scoprire ai più e decide di costruire un documentario – omaggio su di lei davvero interessante e ricco di memoria.
Un bellissimo ritratto intimistico, suddiviso per tappe, che ripercorre carriera e vita, di una donna semplice quanto straordinaria.
"Nata stranamente maschietto", come lei stessa dichiara, la O’Brien si confessa, quasi come se il suo testamento visivo e di ricordi, volesse oltrepassare il tempo, rimanendo vivo, impregnato d’energia.
Scorrono immagini sbiadite di lei da "piccolo", la voce, ancora emozionata e commossa, racconta di fragilità di un tempo, del desiderio di "cambiare", di essere amata.
Ed ecco che teatro (memorabili performances al Piccolo di Milano, alla Fenice di Venezia), cinema (gli attenti possono rintracciarla anche nel Johnny Stecchino di Roberto Benigni), il cabaret, e il pubblico, quello di una volta, più volitivo e sincero, loro sì le hanno voluto bene.
Un mito per molti allora, tristemente dimenticata, fino ad ora.
La gavetta faticosa in Italia, prima tra i "teatrini" popolari di Anzio, Nettuno, Napoli, le urla di aitanti giovanotti (divertente un episodio, di quando, uscita da uno spettacolo, fu assalita dai "membri" dei suddetti), poi il successo inarrestabile in Germania, Francia, la battaglia contro una società bigotta, l’orgoglio transessuale mai velato, ma neanche mai volgarmente esibito, il tramonto.
Misteriosa, enigmatica, affascinante e ambigua, suadente e prorompente, eccola come i suoi colleghi, amici, impresari la dipingono: Carlo Croccolo, Mauro Severino, fino a Giuseppe Bertolucci, tutti sono concordi nell’ammirazione.
Lei che ascoltava Maria Caniglia, che mirava d’esempio Wanda Osiris, Caterina Valente o Carmen Miranda, lei che riusciva a cantare quel "bel dì vedremo" della Madama Butterfly, lei che sapeva stupire con la sua "doppia voce", oggi, grazie a questo mirabile lavoro di sentimenti e parole, difficilmente saprà farsi scordare.
Un angelo che visse d’arte e d’amore, che ebbe il merito di elevarsi come pochi.

La frase: "Ho amato tanto i due sessi, solo uno ha funzionato".

Andrea Giordano

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