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Fury











Con ogni probabilità, sarà dovuta al fatto che aveva incarnato il tenente Aldo Raine nel tarantiniano “Bastardi senza gloria” (2009) la scelta di porre Brad Pitt (qui anche produttore esecutivo) nella divisa dell’agguerrito sergente dell’esercito americano Wardaddy.
Del resto, come, nel personaggio reso sotto la direzione dell’autore di “Pulp fiction” (1994), si trovava a mettere insieme una squadra speciale di otto uomini ebrei incaricati di uccidere qualsiasi soldato tedesco, qui, in seguito all’attacco decisivo sferrato in Europa dagli Alleati, lo troviamo, nell’Aprile del 1945, al comando di una unità di cinque uomini inviati, appunto, a sterminare nazisti.
Cinque uomini che, lanciati in una missione mortale dietro le linee nemiche a bordo di un carro armato Sherman, oltre allo stesso Wardaddy includono Boyd Swan alias Shia LaBeouf, Grady Travis, ovvero il Jon Bernthal visto al fianco di Robert De Niro e Sylvester Stallone ne “Il grande match” (2013), la nuova recluta Norman Ellison, interpretato dal Logan Lerman che presta il volto al Percy Jackson cinematografico, e Trini Garcia, cui concede anima e corpo il Michael Peña che aveva già avuto modo di lavorare al servizio del regista David Ayer – sceneggiatore, tra gli altri, di “Fast and furious” (2001) e “S.W.A.T.-Squadra speciale anticrimine” (2003) – nel POV poliziesco “End of watch-Tolleranza zero” (2012).
Disarmati e in inferiorità numerica, cinque uomini per i quali il coraggio, l’addestramento affrontato e l’arguzia finiscono per rivelarsi i più efficaci strumenti tramite cui destreggiarsi nella tutt’altro che facile situazione nel cuore della Germania, in mezzo a esplosioni e spargimenti di cadaveri.
Ma, sebbene, come c’era da aspettarsi, non risultino affatto assenti né una buona dose di spettacolarità, né momenti brutali e, addirittura, infarciti di splatter, non è su essi che puntano maggiormente le oltre due ore e dieci di visione, bensì sulla progressiva costruzione psicologica dei protagonisti e, soprattutto, sullo sviluppo dei rapporti che intrecciano tra loro.
Man mano che un teso confronto tra due carri armati, un crudo discorso riguardante l’uccisione dei cavalli e la lunga sequenza in casa delle giovani Irma ed Emma – rispettivamente con le fattezze di Anamaria Marinca e Alicia von Rittberg – possono essere annoverati, di sicuro, in mezzo ai punti più riusciti di un coinvolgente e curato spaccato bellico su celluloide destinato a ribadire non solo che, forse, vive in eterno chi fa la volontà di Dio, ma anche e soprattutto che le idee sono pacifiche, mentre la storia è violenta.

La frase:
"Non mi servi a niente se non puoi uccidere tedeschi".

a cura di Francesco Lomuscio

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