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Funny Games
Dalla serenità della musica lirica proveniente dal lettore CD della station wagon di una giovane famiglia borghese – padre, madre e figlio unico – con barchetta a rimorchio, alla minacciosa irruzione nei titoli di testa del frastuono antimelodico di John Zorn. Nell’attacco di "Funny games" c’è già tutta la tensione del contrasto che esploderà di lì a poco.
Il primo film in lingua inglese del regista austriaco Micheal Haneke è il pedissequo aggiornamento del suo omonimo lavoro di dieci anni prima: sceneggiatura e inquadrature restano le stesse, a cambiare sono solo gli attori, stavolta quotate stelle hollywoodiane (con un’intensa Naomi Watts). L’operazione ha il doppio intento di arrivare al pubblico statunitense e mostrarsi come reazione alla disinvolta rappresentazione della violenza sull’essere umano nelle pellicole a stelle e strisce. Più in generale, Haneke se la prende con la società dello spettacolo, e in tal senso gli ammiccamenti di Michael Pitt alla macchina da presa cercano la complicità dello spettatore, per colpevolizzarlo poi nel precipitare irrazionale e sanguinolento. Mentre le efferatezze tenute fuori campo per concentrarsi sull’indifferenza dei seviziatori, insieme alla riduzione al minimo dei movimenti di macchina in favore di lunghi piani-sequenza, non fanno che accrescere la tortura emotiva, Pitt sbeffeggia il tipico ritratto sociologico dello psicopatico omicida descrivendo il proprio compare come figlio di un alcolizzato, "trash", omosessuale, tossicodipendente, incestuoso. Insomma, la comoda, letale mistura di cattiva educazione e odio di classe. Seppure può risultare spiazzante per il senso comune la presentazione del mostro w.a.s.p. colto, in candide vesti d’eleganza sportiva, dalle formali buone maniere, "stanco e disgustato dal vuoto esistenzale", l’effetto dell’opera è però quello di un esercizio di freddo sadismo, della violenza per il gusto della violenza, a confermare l’attitudine aggressiva del regista verso il pubblico.
La frase:
- "Perchè non ci uccidete subito e la fate finita?"
- "E che ne sarebbe dello spettacolo?"
Federico Raponi
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